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Cara professoressa, mio figlio Giuseppe di undici anni ha qualche difficoltà scolastica: è lento nella lettura e nel calcolo, commette molti errori di ortografia, fa fatica a memorizzare le materie orali e a ripetere i contenuti con un linguaggio appropriato. I suoi voti, dunque, non sono molto alti: una sufficienza stentata. A volte mi chiedo se abbia qualche disturbo specifico legato all’apprendimento, se non riesca meglio perché non può riuscire meglio, e vorrei portarlo da uno specialista che sia in grado di effettuare una diagnosi. Se fosse dislessico, per esempio, avrebbe dei supporti e potrebbe evitare un carico di lavoro eccessivo, i suoi voti dunque inizierebbero a crescere. Mia moglie non è molto d’accordo e neanche gli insegnanti: pensano sia un problema legato all’impegno a casa. Lei che cosa ne pensa?
MASSIMO
— Caro Massimo, è difficile dare una risposta univoca alla tua domanda. Inizierei con il dirti che esiste una legge dello Stato, la numero 170 dell’8 ottobre 2010, che riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento «che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana». Chi dunque ne soffre ha diritto a un piano didattico personalizzato che varia da soggetto a soggetto, viene sottoscritto anche dai genitori e si fonda sulla diagnosi di specialisti. Di conseguenza, se necessario, la quantità di lavoro a casa potrebbe diminuire: occorrerebbe infatti adottare una serie di strumenti compensativi e dispensativi per costruire un percorso adeguato che valorizzi le capacità del singolo ragazzo senza lasciarlo imbrigliato nei suoi limiti. Chiunque abbia avuto in classe uno studente con un disturbo specifico di apprendimento sa bene quali difficoltà egli abbia e quale senso di frustrazione nasca dal loro mancato riconoscimento. Tutti noi abbiamo il sospetto che qualcuno dei nostri compagni di classe che faceva fatica a leggere in realtà potesse essere, trent’anni fa, un dislessico incompreso. Ma lo specialista, nel tuo caso, dovrebbe essere un punto d’arrivo, non una scorciatoia per voti non brillanti. Se tua moglie e gli insegnanti hanno un parere diverso, infatti, mi pare che il problema stia proprio qui. Leggere poco, scrivere meno, guardare soltanto la televisione non aiuta certamente ad avere un metodo di studio adeguato, a imparare l’ortografia o ad accrescere la proprietà lessicale. Inizierei con l’aumentare il tempo dedicato all’impegno, con l’abitudine alla fatica quotidiana. Lo specialista semmai arriverà dopo, soltanto se sarà ancora necessario.



