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Un' Esortazione scritta quasi “a quattro mani” con il suo predecessore. Per ribadire, ancora una volta, che non si può essere cristiani e ignorare i poveri, perché è nella loro carne che si incontra Cristo. Papa Leone pubblica la sua prima Esortazione apostolica dal titolo Dilexi te. Un testo al quale stava lavorando papa Francesco negli ultimi mesi del suo pontificato e che Prevost riceve come «una eredità».
Fa sua, il nuovo Papa, non solo l’idea di una «Chiesa povera per i poveri», ma anche quella «con» i poveri perché sono loro che ci evangelizzano. Nei cinque capitoli divisi in 121 paragrafi Leone ricorda «l’opzione preferenziale per i poveri», espressa esplicitamente nell’incontro del Celam (Consiglio episcopale latinoamericano) di Puebla nel 1979 e fatta propria da tutto il magistero sociale della Chiesa, e ribadisce che è sull’attenzione ai poveri che si misura la nostra fede. Violenza sulle donne, condizione carceraria, malati, anziani soli, migranti respinti, fragilità messe ai margini, cultura dello scarto devono farci riflettere. «La condizione dei poveri», scrive al paragrafo 9, «rappresenta un grido che, nella storia dell’umanità, interpella costantemente la nostra vita, le nostre società, i sistemi politici ed economici e, non da ultimo, anche la Chiesa. Sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo».
In continuità con l’enciclica Dilexit nos, papa Leone denuncia l’aumento della povertà anche nei Paesi ricchi, il mancato accesso all’acqua e ai beni di prima necessità, la morte di migliaia di persone per cause legate alla malnutrizione. Mette sotto accusa quelle strutture di peccato che generano povertà e disuguaglianze estreme e quella economia che crea delle «élite di ricchi, che vivono nella bolla di condizioni molto confortevoli e lussuose, quasi un altro mondo rispetto alla gente comune». Condanna «l’illusione di una felicità che deriva da una vita agiata» e che «spinge molte persone verso una visione dell’esistenza imperniata sull’accumulo della ricchezza e sul successo sociale a tutti i costi, da conseguire anche a scapito degli altri e profittando di ideali sociali e sistemi politico-economici ingiusti, che favoriscono i più forti».
Leone attinge a piene mani dal Vangelo e dalla Bibbia, dai Padri della Chiesa e dalle testimonianze di santi e movimenti popolari e ricorda anche la crescente criminalizzazione di chi fa del bene, l’indifferenza verso i poveri e l’opinione, sempre più diffusa, che la colpa della povertà sia dei poveri stessi, quasi una scelta: «C’è ancora qualcuno che osa affermarlo, mostrando cecità e crudeltà», scrive in uno dei passaggi più incisivi dell’Esortazione. «Ovviamente», aggiunge, «tra i poveri c’è pure chi non vuole lavorare, magari perché i suoi antenati, che hanno lavorato tutta la vita, sono morti poveri. Ma ce ne sono tanti – uomini e donne – che comunque lavorano dalla mattina alla sera, forse raccogliendo cartoni o facendo altre attività del genere, pur sapendo che questo sforzo servirà solo a sopravvivere e mai a migliorare veramente la loro vita. Non possiamo dire che la maggior parte dei poveri lo sono perché non hanno acquistato dei “meriti”, secondo quella falsa visione della meritocrazia dove sembra che abbiano meriti solo quelli che hanno avuto successo nella vita».
Anche i cristiani, «in tante occasioni, si lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a conclusioni fuorvianti. Il fatto che l’esercizio della carità risulti disprezzato o ridicolizzato, come se si trattasse della fissazione di alcuni e non del nucleo incandescente della missione ecclesiale, mi fa pensare che bisogna sempre nuovamente leggere il Vangelo, per non rischiare di sostituirlo con la mentalità mondana. Non è possibile dimenticare i poveri, se non vogliamo uscire dalla corrente viva della Chiesa che sgorga dal Vangelo e feconda ogni momento storico».
nella foto, papa Leone firma il documento ponteficio alla presenza di monsignor Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato.



