Il Papa a Istanbul non prega in moschea

Un quarto d’ora di visita in tutto. Il Papa, all’inizio del terzo giorno del suo viaggio apostolico in Turchia, entra, togliendosi le scarpe, come vuole la regola islamica, nella moschea blu, quella di Sultan Hamed. Ad accoglierlo il ministro della Cultura e del Turismo, Mehmet Nuri Ersoy, il mufti provinciale di Istanbul, Emrullah Tuncel, l’imam di Sultan Ahmed, Kurra Hafız Fatih Kaya e il muezzin. È lui, Asgin Tunkam, che poi spiega che il «Papa era molto curioso e ha fatto molte domande sul significato di diverse cose».

Il responsabile della moschea, nonché della chiamata alla preghiera, sottolinea che ha chiesto a Leone, poiché «questa non è casa mia, né tua, ma di Allah » se volesse pregare. «Se vuole può farlo» gli ho detto, «ma lui ha risposto che andava bene, ma voleva solo vedere la moschea, voleva sentire l'atmosfera della moschea ed era molto soddisfatto di questo. Non ha pregato, nessuno lo ha fatto, anche se non posso dire se lo ha fatto tra sé e sé». Il muezzin si dice «felice di aver incontrato il Papa qui», perché è un segno di vicinanza. «Dovremmo conoscerci a vicenda e incontrarci. Considero i metodi, prima che le azioni».

In programma c’era un momento di preghiera silenziosa, come già avevano fatto i suoi predecessori. «Non ci sarebbe stato problema», sottolinea il muezzin, «se il Papa voleva pregare poteva farlo».

Leone «ha vissuto la visita in silenzio», fa sapere dal canto suo la Sala stampa vaticana, «in spirito di raccoglimento e in ascolto, con profondo rispetto di quanti si raccolgono lì in preghiera».

Un gesto di delicatezza, quello di Prevost, che, probabilmente, ha voluto evitare le polemiche, sia da parte dei nazionalisti turchi che dei cattolici più intransigenti, seguite al momento di meditazione silenziosa che avevano compiuto i suoi predecessori. «Non ricordo se avessero proprio pregato», conclude Tunkam, «ma credo che lo abbiano fatto, sia pur brevemente. Ma, ripeto, non ci sarebbero stati problemi neppure con Leone».