Il Signore non usa «effetti speciali», ma si manifesta con umiltà e vicinanza. Papa Leone, proseguendo la catechesi  su “Gesù Cristo nostra speranza”, incentra la sua meditazione sul tema «Riaccendere. “Non ci ardeva forse il cuore nel petto?”». E spiega che «il Signore risorto non fa nulla di spettacolare per imporsi alla fede dei suoi discepoli. Non si presenta circondato da schiere di angeli, non compie gesti clamorosi, non pronuncia discorsi solenni per svelare i segreti dell’universo». Invece si presenta «con discrezione, come un viandante qualsiasi, come un uomo affamato che chiede di condividere un po’ di pane». Maria di Magdala, addirittura, lo scambia  per un giardiniere, i discepoli per un forestiero, Pietro e Poalo per un passante qualunque. Non si cono «segni di potenza, prove schiaccianti. Ma il Signore non cerca questo: preferisce il linguaggio della prossimità, della normalità, della tavola condivisa».

Un messaggio che Leone definisce «prezioso: la Risurrezione non è un colpo di scena teatrale, è una trasformazione silenziosa che riempie di senso ogni gesto umano. Gesù risorto mangia una porzione di pesce davanti ai suoi discepoli: non è un dettaglio marginale, è la conferma che il nostro corpo, la nostra storia, le nostre relazioni non sono un involucro da gettare via. Sono destinate alla pienezza della vita. Risorgere non significa diventare spiriti evanescenti, ma entrare in una comunione più profonda con Dio e con i fratelli, in un’umanità trasfigurata dall’amore». E dunque «anche le cose più ordinarie: mangiare, lavorare, aspettare, curare la casa, sostenere un amico» sono importanti Perché «la Risurrezione non sottrae la vita al tempo e alla fatica, ma ne cambia il senso e il “sapore”. Ogni gesto compiuto nella gratitudine e nella comunione anticipa il Regno di Dio». Ma spesso un ostacolo ci impedisce di vedere questa presenza nel quotidiano: «La pretesa che la gioia debba essere priva di ferite. I discepoli di Emmaus camminano tristi perché speravano in un altro finale, in un Messia che non conoscesse la croce. Nonostante abbiano sentito dire che il sepolcro è vuoto, non riescono a sorridere. Ma Gesù si mette accanto a loro e con pazienza li aiuta a comprendere che il dolore non è la smentita della promessa, ma la strada attraverso cui Dio ha manifestato la misura del suo amore». E solo quando, infine, «siedono a tavola con Lui e spezzano il pane, si aprono i loro occhi. E si accorgono che il loro cuore ardeva già, anche se non lo sapevano. Questa è la sorpresa più grande: scoprire che sotto la cenere del disincanto e della stanchezza c’è sempre una brace viva, che attende solo di essere ravvivata».

La risurrezione, sottolinea il Pontefice, «ci insegna che non c’è storia tanto segnata dalla delusione o dal peccato da non poter essere visitata dalla speranza. Nessuna caduta è definitiva, nessuna notte è eterna, nessuna ferita è destinata a rimanere aperta per sempre. Per quanto possiamo sentirci lontani, smarriti o indegni, non c’è distanza che possa spegnere la forza indefettibile dell’amore di Dio».

Noi pensiamo che «il Signore venga a visitarci soltanto nei momenti di raccoglimento o di fervore spirituale, quando ci sentiamo all’altezza, quando la nostra vita appare ordinata e luminosa. E invece il Risorto si fa vicino proprio nei luoghi più oscuri: nei nostri fallimenti, nelle relazioni logorate, nelle fatiche quotidiane che ci pesano sulle spalle, nei dubbi che ci scoraggiano. Nulla di ciò che siamo, nessun frammento della nostra esistenza gli è estraneo».

Leone spiega che «il Signore risorto si affianca a ciascuno di noi, proprio mentre percorriamo le nostre strade – quelle del lavoro e dell’impegno, ma anche quelle della sofferenza e della solitudine – e con infinita delicatezza ci chiede di lasciarci riscaldare il cuore. Non si impone con clamore, non pretende di essere riconosciuto subito. Con pazienza attende il momento in cui i nostri occhi si apriranno per scorgere il suo volto amico, capace di trasformare la delusione in attesa fiduciosa, la tristezza in gratitudine, la rassegnazione in speranza». Perché Gesù vuole solo «farsi nostro compagno di strada e accendere in noi la certezza che la sua vita è più forte di ogni morte. Chiediamo allora la grazia di riconoscere la sua presenza umile e discreta, di non pretendere una vita senza prove, di scoprire che ogni dolore, se abitato dall’amore, può diventare luogo di comunione». Perché le nostre ferite non sono cancellate, ma illuminate perché «il Signore è vivo, cammina con noi, e ci dona in ogni istante la possibilità di ricominciare».