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«Vorremmo essere felici, ma stentiamo a esserlo». Papa Leone parte da questa considerazione per la catechesi del mercoledì su “Gesù Cristo nostra speranza”.
Seguendo i Vangeli, dalla nascita fino alla risurrezione, dice Prevost, troviamo in Gesù il fondamento saldo della nostra speranza. Verifichiamo la nostra vita alla luce del Vangelo e ci accorgiamo che essa è «scandita da innumerevoli accadimenti, colmi di sfumature e di vissuti differenti. A volte ci sentiamo gioiosi, altre volte tristi, altre ancora appagati, oppure stressati, gratificati, demotivati. Viviamo indaffarati, ci concentriamo per raggiungere risultati, arriviamo a conseguire traguardi anche alti, prestigiosi. Viceversa, restiamo sospesi, precari, in attesa di successi e riconoscimenti che tardano ad arrivare o non arrivano affatto». La situazione paradossale è che cerchiamo una felicità che, però, non riusciamo a ottenere in modo «continuativo e senza ombre. Facciamo i conti con il nostro limite e, allo stesso tempo, con l’insopprimibile spinta a tentare di superarlo. Sentiamo nel profondo che ci manca sempre qualcosa». Ma non siamo «stati creati per la mancanza, ma per la pienezza, per gioire della vita e della vita in abbondanza, secondo l’espressione di Gesù nel Vangelo di Giovanni». E questa domanda di pienezza «può trovare la sua risposta ultima non nei ruoli, non nel potere, non nell’avere, ma nella certezza che c’è qualcuno che si fa garante di questo slancio costitutivo della nostra umanità; nella consapevolezza che questa attesa non sarà delusa o vanificata». È questa certezza che coincide con la speranza. Non si tratta di un banale ottimismo. Questo spesso «ci delude, vede implodere le nostre attese, mentre la speranza promette e mantiene». La garanzia di questo è Gesù risorto. «È Lui la fonte che soddisfa la nostra arsura, l’infinita sete di pienezza che lo Spirito Santo infonde nel nostro cuore. La Risurrezione di Cristo, infatti, non è un semplice accadimento della storia umana, ma l’evento che l’ha trasformata dall’interno». Papa Leone invita a pensare alle caratteristiche della fonte d’acqua che «disseta e rinfresca le creature, irrora la terra, le piante, rende fertile e vivo ciò che altrimenti resterebbe arido. Dà ristoro al viandante stanco offrendogli la gioia di un’oasi di freschezza. Una fonte appare come un dono gratuito per la natura, per le creature, per gli esseri umani. Senza acqua non si può vivere» E spiega che «il Risorto è la fonte viva che non inaridisce e non subisce alterazioni. Resta sempre pura e pronta per chiunque abbia sete. E tanto più gustiamo il mistero di Dio, tanto più ne siamo attratti, senza mai restare completamente saziati». Cita Sant’Agostino e il suo Inno alla bellezza: «Effondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace» per dire che «con la sua Risurrezione, ci ha assicurato una permanente fonte di vita: Egli è il Vivente, l’amante della vita, il vittorioso su ogni morte. Perciò è in grado di offrirci ristoro nel cammino terreno e assicurarci la quiete perfetta nell’eternità. Solo Gesù morto e risorto risponde alle domande più profonde del nostro cuore: c’è davvero un punto di arrivo per noi? Ha senso la nostra esistenza? E la sofferenza di tanti innocenti, come potrà essere riscattata?». Le risposte non calano dall’alto, perché Gesù «si fa nostro compagno in questo viaggio spesso faticoso, doloroso, misterioso. Solo Lui può riempire la nostra borraccia vuota, quando la sete si fa insopportabile». È il punto di arrivo del nostro pellegrinaggio. «Senza il suo amore, il viaggio della vita diventerebbe un errare senza meta, un tragico errore con una destinazione mancata. Siamo creature fragili. L’errore fa parte della nostra umanità, è la ferita del peccato che ci fa cadere, rinunciare, disperare. Risorgere significa invece rialzarsi e mettersi in piedi. Il Risorto garantisce l’approdo, ci conduce a casa, dove siamo attesi, amati, salvati. Fare il viaggio con Lui accanto significa sperimentare di essere sorretti nonostante tutto, dissetati e rinfrancati nelle prove e nelle fatiche che, come pietre pesanti, minacciano di bloccare o deviare la nostra storia».



