Gentile don Stefano, mi rivolgo a lei per un problema tanto sentito quanto urgente. Nonostante la nostra società sia secolarizzata, da parte di molti si sente il bisogno di una guida spirituale, specialmente nei momenti più delicati della vita come quello della morte, che spesso segue a una vita difficile e tribolata. In punto di morte molte persone chiedono una presenza spirituale che le accompagni nel trapasso. Una confessione, una buona parola o una presenza discreta e silenziosa per non essere soli in quel momento tanto drammatico quanto solenne e per rispondere ai bisogni più profondi dell’anima. Purtroppo, però, molti muoiono da soli nell’impossibilità di contattare un prete. Si avverte pertanto la necessità di istituire un numero d’emergenza – come il 118 per quelle sanitarie, il 115 per i Vigili del fuoco o, ancora, il 112 per le forze dell’ordine – in modo che anche le anime possano essere salvate tramite un numero per interventi spirituali urgenti. GIULIA BRAMEZZA - Lonigo

Cara Giulia, la tua lettera solleva una questione interessante, che riguarda principalmente i tantissimi cappellani delle strutture ospedaliere e i parroci, chiamati in luoghi diversi a esercitare quel ministero misericordioso dell’accompagnamento dei malati e dei morenti. Spesso la richiesta di assistenza spirituale giunge a sacerdoti, religiosi e religiose attraverso parenti, amici, conoscenti o chi esercita una professione sanitaria e incontra i malati. Un numero telefonico, soprattutto per chi vive gli ultimi istanti di vita in contesti estranei, potrebbe essere una soluzione intelligente anche per razionalizzare un servizio delicato che richiede competenza umana e spirituale e tempestività. Giro, quindi, la tua proposta a chi nella Chiesa ha competenza in merito. Ma mi chiedo se non sia venuto il momento, visto il drastico calo di vocazioni sacerdotali, di coinvolgere decisamente in questo ministero (esclusa, evidentemente, la confessione) anche persone laiche formate. Forse il Sinodo che stiamo vivendo ci darà qualche risposta