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Caro don Stefano, accade sovente che la cronaca ci riferisca di brutte storie nell’ambito della sanità. Come è successo pochi giorni fa a Catania, quando quattro professori di cardiologia sono finiti ai domiciliari per corruzione per avere incassato mazzette e per avere certificato la validità di alcune valvole aortiche non efficienti per maggiorarne il costo.
Non è la prima volta – e non sarà neppure l’ultima – che alcuni medici insozzano il loro giuramento di Ippocrate per un pugno di euro in più. Forse sarebbe opportuno far conoscere la vita di Giuseppe Moscati, medico e santo, come viatico comportamentale per la futura carriera professionale.
RAFFAELE PISANI
Caro Raffaele, i santi “servono” proprio a ispirare al bene chi viene dopo di loro.
Giuseppe Moscati scelse la professione medica in base a un’ispirazione dettata dalla compassione verso il dramma della sofferenza umana. E cominciò dal fratello Alberto, tenente di artiglieria, che nel 1893 gli fu portato a casa dopo aver subito un trauma inguaribile in seguito a una caduta da cavallo. Per anni si prodigò con le sue cure e sperimentò che, se i rimedi umani non possono tutto, i conforti religiosi possono però donare la vera pace.
La sua carriera prodigiosa come medico si sposò con uno stile di vita sobrio, che gli permise di cogliere l’essenziale: la dignità di malati, soprattutto i più poveri, che prediligeva visitare e a cui restituì spesso il denaro con cui avevano pagato le sue prestazioni. Il giuramento di Ippocrate per lui si sposava perfettamente con il Vangelo. Sarebbe bello che i medici, a partire da quelli corrotti, lo conoscessero traendone ispirazione perché potrebbe davvero cambiare la vita di molti di loro.



