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“Un sabato era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Davanti a lui stava un idropico. Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no curare di sabato?»”. Il paradosso è grande. La regola dice che di sabato non bisogna fare nulla, ma è lecito comunque pranzare.
È un po’ come dire che quel pranzo vale più della sofferenza di quell’uomo. A questi paradossi vanno a finire i nostri attaccamenti malati alle regole. Le regole ci piacciono perché quando le seguiamo ci fanno sentire bravi e giusti, quasi mai però ci accorgiamo che le regole le plasmiamo a nostra immagine, abbastanza capienti da contenere il nostro ventre e abbastanza strette da farci entrare la sofferenza degli altri. Credere significa non rinunciare alle regole, al sabato; credere significa comprendere che le regole servono a proteggere un bene e non a smarrirlo.
Dio dà la regola del “sabato” affinché l’uomo si ricordi di essere umano e non un “asino da lavoro”, ed è paradossale che in nome di una regola che serve a ricordarci che siamo umani, noi siamo così disumani da non renderci conto del dolore di qualcuno. Gesù lo sa dire meglio: “‘Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?’. E non potevano rispondere nulla a queste parole”. Il silenzio qui però non è assenso, purtroppo.
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