Riflessione di Martedì 4 Aprile - Giovanni 13,21-33

Il racconto del Vangelo di Giovanni delle ultime ore di vita di Gesù è pieno di suspense. Sbagliamo a leggere questi racconti velocemente perché in realtà essi hanno bisogno di essere gustati con calma. Oggi, martedì santo, ci troviamo nel cenacolo a tavola. È l’ora dell’ultima cena e Gesù apertamente confida un dolore che lo fa soffrire: “Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse”. Il dolore di Gesù non dipende dal fatto di dover morire ma di sapere che chi lo consegnerà nelle mani dei suoi uccisori è uno che è stato con lui per almeno tre lunghi anni. È una persona conosciuta, amata, fidata. Quando la sofferenza ci viene inferta da un estraneo è più sopportabile di quando ci viene inferta da chi amiamo. Gesù non gioca a fare l’eroe nascondendo la sofferenza. Egli la dichiara, la mostra apertamente. Sarà sempre disposto a perdonare, ma non occulta il dolore interiore di una simile cosa. Il problema però è che è troppo facile dire che il traditore è Giuda. In Giuda ognuno di noi può rispecchiarsi. Anche noi siamo amati, confidenti, figli, discepoli, persone che forse hanno una certa familiarità con Cristo, eppure nonostante questo continuiamo a consegnarlo ai suoi uccisori. Lo facciamo tutte le volte che viviamo al contrario di ciò che ci ha insegnato. Tutte le volte che non vogliamo bene a noi stessi feriamo Lui. Tutte le volte che non vogliamo bene al nostro prossimo feriamo Lui. Tutte le volte che pensiamo di essere più furbi della Provvidenza di Dio, così come Giuda è convinto di aver escogitato il delitto perfetto, in realtà feriamo Lui. Peccare è pensare di essere più furbi della Provvidenza. Oggi dobbiamo sostare sugli occhi pieni di lacrime di Gesù. Oggi dobbiamo considerare questo dolore al cuore che lo assale.

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