Mt 8,5-11 - Lunedì della I Settimana di Avvento

C’è una frase del centurione nel Vangelo di oggi che spiazza persino Gesù: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”.

È sorprendente perché questo uomo non è credente, non è israelita, non appartiene al popolo dell’Alleanza. Eppure crede più di tanti che si ritengono religiosamente a posto. A volte quelli “dentro” sono più lontani di quelli “fuori”. Il centurione capisce una cosa fondamentale: non siamo noi a meritare Dio, è Dio che viene per grazia.

L’umiltà non è disprezzo di sé, ma riconoscere che abbiamo bisogno di qualcuno più grande del nostro dolore, più grande del nostro limite. Questo sguardo umile spalanca la porta al miracolo. Gesù si meraviglia di lui ed è bello pensare che possiamo meravigliare Dio non con i nostri titoli o le nostre prestazioni spirituali, ma con la nostra fiducia. “Io stesso sono sotto autorità, e dico a uno ‘va’ ed egli va…”. È come se dicesse: conosco il potere della parola, so che quando Tu parli le cose accadono. E Gesù riconosce in quella frase una fede pura, incarnata, concreta.

Noi spesso chiediamo a Dio prove, segni, garanzie. Il centurione invece è certo della fedeltà di Dio anche prima di vedere il risultato. E questo rovescia tutto: la fede non è pretendere che Dio ci dia ciò che vogliamo, ma fidarci che Egli è già all’opera dentro la nostra storia. “Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa nel Regno”, il cuore e l’azione di Dio sono più grandi dei confini, anche quelli religiosi, e delle volte c’è più fede lì dove non ci si aspetterebbe di trovare nulla, invece di quei posti dove tu credi che ce ne dovrebbe essere molta e invece c’è il nulla.