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“Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi”. Non credo che ci sia immagine migliore di quella usata da Gesù nella parabola raccontata nel Vangelo di oggi.
La nostra vita è come un invito a una festa, come la partecipazione a una cena importante, eppure passiamo la maggior parte di essa a trovare scuse per non partecipare a questa festa, per tirarci fuori da questo invito. Il male vuole sempre farci vivere in maniera autoreferenziale, convincendoci di non avere bisogno di nessuno, compreso Dio. La nostra società di oggi è tutta costruita sull’inutilità di Dio, della fede, della preghiera, della spiritualità.
Persino tra i cristiani c’è la convinzione che ci sono cose più utili e meno utili nell’esperienza da credenti. Ad esempio, è utile aiutare chi ha bisogno, ed è inutile pregare. Che è un po’ come dire che è utile andare a una cena per mangiare, ed è inutile costruire una relazione con chi ti ha invitato a quella cena. In realtà quel cibo è solo un pretesto per poter celebrare un’amicizia, condividere la gioia, distribuire il bene. Dobbiamo tutti fermarci e domandarci se effettivamente questa vita è ancora una festa, se noi siamo ancora degli invitati, e se ci siamo accorti che c’è un padrone di casa che ha preparato tutto questo per noi.
L’infelicità contemporanea è tutta costruita sulla dimenticanza di queste tre cose. Ed è proprio per questo che ci sentiamo condannati a una vita senza gioia, a un’esistenza senza un’appartenenza, a una storia che non conduce da nessuna parte. Ci si converte solo quando si ha l’umiltà di lasciarsi coinvolgere di nuovo da chi la vita ce l’ha donata, e da chi la Gioia l’ha preparata da tempo per ognuno.
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