Shema‘ Jisra’el, «Ascolta, Israele!»: è questo l’avvio di un passo del Deuteronomio (6,4- 9) che costituisce una delle preghiere quotidiane più care dell’ebreo di tutti i tempi, contenente un’intensa professione di fede e di amore nei confronti del Signore. Anche Gesù, quando vorrà definire «il primo di tutti i comandamenti», ricorrerà a questo testo che si apre con un intenso appello all’«ascolto» (Marco 12, 28-34). Se la parola è per eccellenza la via della Rivelazione divina, è consequenziale che la fede sia legata all’ascolto attento e partecipe. Anche san Paolo ricordava: «Come potranno credere in colui del quale non hanno udito parlare?» (Romani 10,14).
Gesù stesso, a più riprese, ribadisce la necessità dell’ascolto della parola divina: «Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; se voi non ascoltate, è perché non siete da Dio… Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono» (Giovanni 8,47; Luca 11,28). Si possono moltiplicare le citazioni bibliche di questo genere nelle quali il verbo greco akoúô, «ascoltare» (presente ben 428 volte nel Nuovo Testamento) rivela, già dallo stesso contesto, che il suo significato va ben oltre il puro e semplice «sentire» per indicare invece adesione, accoglienza amorosa, impegno. Non per nulla sulla base del termine akoê, «ascolto», è costruita la parola hypakoê che significa «obbedienza» e che è cara specialmente a san Paolo che la usa una quindicina di volte, soprattutto nella formula «obbedienza della fede» (Romani 1,5).
Scrive a questo proposito uno studioso della Bibbia: «L’ascolto della parola di Dio dice anche impegno a convertirsi, a realizzare la nostra vita secondo i comandamenti della parola di Dio. Non è soltanto prestare attenzione per ottenere una conoscenza ma è soprattutto aprire il cuore all’obbedienza». Proviamo a ricorrere al linguaggio “tecnico” tradizionale della teologia: l’oggetto dell’«ascolto» è la fides quae, ossia il contenuto della fede che ci viene rivelato da Dio; ma l’atteggiamento globale dell’«ascolto» religioso è la fides qua, cioè la fiducia dell’accoglienza, la scelta vitale per quella parola. In pratica il verbo biblico «ascoltare» è sinonimo sia di «comprendere», sia di «obbedire», sia di «accogliere» una proposta di vita per metterla in pratica.
È per questo che curiosamente nel libro dell’Esodo si dice che allo schiavo viene forato l’orecchio (21,6) proprio per ricordargli efficacemente l’obbligo dell’ascolto-obbedienza al suo signore. Nel Salmo 40 l’orante, per affermare la totale consacrazione a Dio, afferma che egli non offrirà sacrifici esteriori ma l’intera sua esistenza perché il Signore gli ha «scavato» l’orecchio, cioè l’ha fatto suo per sempre: «Sacrifici e offerta tu non gradisci, gli orecchi mi hai scavato» (v. 7). La Lettera agli Ebrei applicherà questo passo a Cristo, vittima sacrificale perfetta, che supera la molteplicità dei vari sacrifici animali, obbediente al Padre donando se stesso (10,5-10).
L’ascoltare biblico diventa, così, espressione di un’adesione che si trasforma in amore. Come diceva la citata «beatitudine» di Gesù, all’ascolto deve seguire il «custodire», l’osservare, il mettere in pratica la parola «ascoltata» (Luca 8,21; 11,28). Nella parabola del seminatore, «il seme caduto sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza» (Luca 8,15). Similmente i due costruttori descritti da Gesù nelle parabole gemelle che concludono il Discorso della montagna si distinguono proprio per la diversità del loro ascolto: «Chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia… Chiunque ascolta le mie parole e non le mette in pratica è simile a un uomo stolto che ha costruito la casa sulla sabbia» (Matteo 7,24-27).


