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Si dice che non si conosce veramente una nazione finché non si sia stati nelle sue galere. Una nazione dovrebbe essere giudicata da come tratta non i cittadini più prestigiosi, ma i cittadini più umili». Chi ha pronunciato queste parole sapeva bene quel che diceva, Nelson Mandela (1918-2013), il famoso leader contro l’apartheid in Sudafrica e Nobel per la pace nel 1993. Egli fu arrestato nel 1962 e da allora rimase in un carcere duro per 28 anni. Abbiamo fatto risuonare la sua voce perché in questa domenica si celebra il Giubileo dei detenuti.
È interessante notare che nella Bibbia personaggi di alto valore morale e spirituale hanno sperimentato la prigionia, iscritti, quindi, nell’albo di tante persone che hanno vissuto talora in condizioni spietate e disumane in carceri infami. Tanto per evocare qualche figura, pensiamo a Giuseppe, figlio di Giacobbe, vittima di un errore giudiziario dovuto a una calunnia, che per sua fortuna trova però un direttore della casa di detenzione sensibile al suo caso (Genesi 39-41). Secoli dopo il profeta Geremia è messo in ceppi a più riprese come voce sgradita al regime e viene ristretto persino in una cisterna fangosa (c. 38).
Nel Nuovo Testamento il termine phylakè – che significa sia “carcere” sia la “guardia carceraria” sia le varie ore della notte delle sentinelle – ricorre 47 volte. La prima vittima più illustre è Giovanni Battista, «arrestato, incatenato e gettato in prigione a causa di Erodiade», amante del re Erode Antipa (Matteo 14,3), e là decapitato. Nel silenzio complice dei sudditi egli è l’unico a puntare l’indice contro l’adulterio del sovrano: «Non ti è lecito!». Come commenterà don Primo Mazzolari, da allora la testa del Battista sul vassoio continuerà a gridare ancor più forte di quando era sul suo collo.
A più riprese Pietro, come altri apostoli, verrà incarcerato secondo il racconto degli Atti degli apostoli. Una rievocazione di grande intensità narrativa e con vari colpi di scena è da leggersi nel c. 12, e un artista come Raffaello ha saputo rappresentare la liberazione notturna a opera di un angelo nelle Stanze vaticane in un affresco veramente mirabile, con una luna che si affaccia nel cielo velato da nubi lievi irraggiando la sua luce sui volti eccitati dei vari personaggi.
È sempre necessario, comunque, ancora oggi l’appello al rispetto della dignità umana, anche di Caino a cui il Signore «impone un segno, perché nessuno incontrandolo lo colpisca» (Genesi 4,15). Si ripete spesso, purtroppo vanamente, che la pena non dev’essere solo punitiva ma anche educativa. E invece in carceri già disumane per affollamento, ci sono persone che hanno davanti a sé solo il vuoto, l’inerzia, la desolazione ed è per questo che talora l’approdo è nel baratro del suicidio.
Echeggia sempre la voce del Giudice supremo, Cristo, in benedizione o in maledizione: «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi… Ero in carcere e non mi avete visitato» (Matteo, 25,36.43).



