Una casalinga curva sul pavimento di terra battuta della sua modesta casa orientale: è una scena che sta alla base di una famosa parabola di Gesù. Essa ci offre l’occasione per illustrare ancora una volta il legame tra famiglia e misericordia. Siamo, infatti, all’interno di una vicenda domestica che possiamo ricostruire sulla base delle poche parole di Gesù, capaci però di far sbocciare una lezione di taglio più generale e di indole spirituale.
La donna ha contato il suo tesoretto di dieci dracme, la moneta greca che era in uso in tutto l’impero romano (la dracma cosiddetta “attica” era coniata in argento). Con terrore s’accorge di averne smarrita una: la ricerca si fa frenetica, con una lucerna va a perlustrare gli angoli più riposti della casa, spazza la superficie polverosa che fungeva da pavimento, fissa lo sguardo su ogni centimetro quadro e, alla fine, ecco un grido. Là, in un angolo, brilla la moneta e la gioia prorompe. Una gioia che dev’essere comunicata perché la donna non riesce a tenerla solo per sé. «Chiama le amiche e le vicine e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduta!”».
Fin qui questa piccola avventura familiare. Ma a questo punto si apre la possibilità di trasformarla in “parabola”, cioè in un racconto simbolico che va ben oltre la cronaca domestica e che si apre appunto al tema della misericordia. Gesù sta sviluppando questo argomento attraverso un trittico di narrazioni. Si tratta di un messaggio caro a lui ma anche all’evangelista Luca che riferisce questa trilogia. Sappiamo, infatti, che Dante nella sua opera Monarchia ha denito il terzo evangelista lo scriba mansuetudinis Christi, cioè lo scrittore della misericordia di Gesù.
Ora, proprio nella parabola precedente, che era invece ambientata su uno sfondo pastorale, Gesù aveva sviluppato la stessa lezione evocando un pastore che era corso alla ricerca di una pecora smarrita tra i picchi rocciosi del deserto di Giuda e, alla fine, l’aveva ritrovata. Anche lui aveva comunicato agli amici la sua felicità per quell’esito: «Rallegratevi per me perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta!». Gesù, sia in quel caso, sia nella storia della donna e della dracma, aveva apposto un suggello spirituale centrato proprio sulla misericordia di Dio.
La sua speranza e la sua festa è quella di poter riabbracciare i peccatori e riportarli a sé: «Io vi dico: vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Parlavamo prima di tre parabole: esse sono raccolte tutte a grappolo nel cap. 15 di Luca. L’apice è costituito da un’altra scena ove famiglia e misericordia s’incontrano tra loro in modo stretto: intendiamo riferirci alla cosiddetta “parabola del figlio prodigo”. Essa, in realtà, ha per protagonista un padre che ha due figli molto diversi tra loro, entrambi però bisognosi dell’amore di un genitore che sa accogliere, comprendere, perdonare. A questo racconto ben noto e commentato infinite volte dedicheremo la prossima nostra riflessione.
La donna ha contato il suo tesoretto di dieci dracme, la moneta greca che era in uso in tutto l’impero romano (la dracma cosiddetta “attica” era coniata in argento). Con terrore s’accorge di averne smarrita una: la ricerca si fa frenetica, con una lucerna va a perlustrare gli angoli più riposti della casa, spazza la superficie polverosa che fungeva da pavimento, fissa lo sguardo su ogni centimetro quadro e, alla fine, ecco un grido. Là, in un angolo, brilla la moneta e la gioia prorompe. Una gioia che dev’essere comunicata perché la donna non riesce a tenerla solo per sé. «Chiama le amiche e le vicine e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduta!”».
Fin qui questa piccola avventura familiare. Ma a questo punto si apre la possibilità di trasformarla in “parabola”, cioè in un racconto simbolico che va ben oltre la cronaca domestica e che si apre appunto al tema della misericordia. Gesù sta sviluppando questo argomento attraverso un trittico di narrazioni. Si tratta di un messaggio caro a lui ma anche all’evangelista Luca che riferisce questa trilogia. Sappiamo, infatti, che Dante nella sua opera Monarchia ha denito il terzo evangelista lo scriba mansuetudinis Christi, cioè lo scrittore della misericordia di Gesù.
Ora, proprio nella parabola precedente, che era invece ambientata su uno sfondo pastorale, Gesù aveva sviluppato la stessa lezione evocando un pastore che era corso alla ricerca di una pecora smarrita tra i picchi rocciosi del deserto di Giuda e, alla fine, l’aveva ritrovata. Anche lui aveva comunicato agli amici la sua felicità per quell’esito: «Rallegratevi per me perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta!». Gesù, sia in quel caso, sia nella storia della donna e della dracma, aveva apposto un suggello spirituale centrato proprio sulla misericordia di Dio.
La sua speranza e la sua festa è quella di poter riabbracciare i peccatori e riportarli a sé: «Io vi dico: vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Parlavamo prima di tre parabole: esse sono raccolte tutte a grappolo nel cap. 15 di Luca. L’apice è costituito da un’altra scena ove famiglia e misericordia s’incontrano tra loro in modo stretto: intendiamo riferirci alla cosiddetta “parabola del figlio prodigo”. Essa, in realtà, ha per protagonista un padre che ha due figli molto diversi tra loro, entrambi però bisognosi dell’amore di un genitore che sa accogliere, comprendere, perdonare. A questo racconto ben noto e commentato infinite volte dedicheremo la prossima nostra riflessione.


