Benevola disposizione d’animo per cui si è portati a perdonare, compatire, scusare le colpe, gli errori, i difetti altrui». Così si legge nel Dizionario Enciclopedico Treccani alla voce “Indulgenza”, mentre “Indulgente” è «la persona che, per mitezza di carattere o per umana comprensione, è naturalmente disposta a perdonare, scusare, compatire». Fin qui va l’accezione comune che introduce una sorta di virtù sorella della carità e del perdono.
È noto, però, che il termine “indulgenza” ha un significato anche teologico-ecclesiale che è soprattutto legato al Giubileo. L’indulgenza religiosa è quasi un corollario del sacramento della penitenza o riconciliazione che costituisce la prima e fondamentale tappa del perdono dei peccati. Essi vengono cancellati dalla misericordia di Dio che, secondo un’immagine biblica, getta alle spalle le nostre colpe, nascondendole per sempre dal suo volto: «Quanto dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe» (Salmo 103,12).
Tuttavia, il peccato sconvolge una serie di relazioni, porta con sé conseguenze laterali, lascia un segno e, quindi, è necessario ristabilire un’armonia non solo esteriore ma anche interiore. L’indulgenza è, appunto, l’azione divina che sostiene in quest’opera di espiazione che incombe sul peccatore. Dio, quando ci perdona, non ci toglie solo il peccato ma è così indulgente da non pretendere che scontiamo una pena severa, cioè un castigo duro per il male connesso.
L’indulgenza è la cancellazione dei residui che il peccato lascia dietro di sé, sia in noi, sia nell’orizzonte in cui abbiamo operato il male. A questo riguardo, è significativo quanto afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato Purgatorio » (n. 1472).
Ebbene, questa liberazione secondaria dagli strascichi del peccato – dopo la purificazione radicale e primaria del peccato stesso attraverso il perdono sacramentale della penitenza o confessione delle colpe – esige anche un nostro coinvolgimento attuato attraverso le opere di carità, le preghiere, il digiuno, il pellegrinaggio. Il Giubileo è uno degli strumenti più alti di questa purificazione dagli effetti lasciati dal nostro male, così da farci brillare in pienezza di luce davanti al Signore. È, quindi, un dono ulteriore che subentra a quello del perdono, un dono che coinvolge anche la nostra partecipazione e il nostro impegno.
In passato l’indulgenza è stata quantificata secondo forme proporzionate di doveri, giungendo quasi a “tariffe” e a un uso spregiudicato da parte di certe autorità ecclesiali. La si assegnava a chi partecipava o sosteneva le Crociate o a raccolta fondi per opere esteriori delle istituzioni ecclesiastiche e persino a vantaggi personali. È ciò che aveva, tra l’altro, denunciato Lutero nella sua Riforma, ed è ciò che poi condannerà il Concilio di Trento come «turpe lucro». Ben diversa, perciò, è l’indulgenza autentica offerta nel Giubileo.


