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Anche i bambini hanno avuto un loro spazio in questo Anno Santo e non solo perché nello scorso maggio si è celebrato un Giubileo a loro dedicato e che abbiamo ricordato a suo tempo anche noi nella nostra rubrica. Durante questi mesi, infatti, sono state numerose le famiglie che hanno condotto i loro figli a Roma e nelle chiese giubilari del mondo. È spontaneo che, alle soglie del Natale, si riproponga un Bambino molto speciale, Gesù di Nazaret, sui cui esordi di neonato si è, però, scatenata la bufera che purtroppo anche ai nostri giorni flagella tanti piccoli profughi, schiacciati dalle guerre, affamati e sfruttati.
Basta rileggere quei 180 versetti dei primi quattro capitoli dei due “Vangeli dell’infanzia” di Gesù (Matteo 1-2 e Luca 1-2) per ritrovare scene a tutti note che hanno dominato la stessa storia dell’arte. La violenza del potere assoluto di Erode con la strage dei piccoli betlemiti sotto i due anni costringe quel Bambino a essere un emigrante coi suoi genitori in Egitto, pur essendo stato accolto con amore nel tempio da due “nonni” particolari, Simeone e Anna, e venerato da stranieri come i Magi, che «videro il Bambino con sua madre, si prostrarono e l’adorarono» (Matteo 2,11).
Sono diverse le pagine evangeliche occupate dai bambini. Cristo si fermava persino a osservare i loro giochi, anche quando litigavano tra loro. Così, alcuni di loro un giorno volevano mimare una festa di nozze con balli, canti e suoni; altri, invece, un funerale, senza accordarsi tra loro (Luca 7,31-32). Oppure, in un’altra occasione Gesù è bloccato da alcune mamme che presentano i loro piccoli turbolenti perché li accarezzi e benedica. Contro il chiasso e la confusione reagiscono i discepoli che si mettono a “rimproverare” quei bambini: al riguardo, gli evangelisti usano il verbo greco epitimáo che di solito adottano quando Cristo fa tacere i demoni. L’allusione è certamente al fracasso “indiavolato” che faceva quella piccola folla (Matteo 19,13-15).
Gesù, invece, ha un ben diverso atteggiamento: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite». Anzi, rende loro, che non erano considerati allora come persone giuridiche, quasi maestri nella fede per gli adulti: «Chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Luca 18,17). E sarà ancor più esplicito attraverso un gesto simbolico, mettendo un piccolo davanti a tutti: «Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli» (Matteo 18,1-5).
Subito dopo, però, egli aggiunge un duro monito: «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato in mare» (18,6). Questa immagine violenta e paradossale di condanna è stata spesso applicata all’infamia della pedofilia. In realtà, gli studiosi fanno notare che il termine greco usato per indicare «i piccoli che credono» solitamente si riferisce ai fratelli deboli nella fede da non scandalizzare e mettere in crisi. Tuttavia, in questa luce il testo può essere applicato anche allo scandalo che gli adulti possono generare nei confronti della fede semplice e della fiducia pura e spontanea dei bambini.





