«Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda». Canta così il Salmista (139,14) confrontando il formarsi del bambino nel grembo della madre con la sua successiva maturità fisiologica e umana. Secoli dopo, un altro poeta, l’austriaco Hugo von Hofmannsthal (1874-1929), rileggeva il passo biblico sulla persona umana come immagine di Dio (Genesi 1,27) così: «Dio disse: Io ero un tesoro che nessuno conosceva. Allora volli essere conosciuto. Per questo creai l’uomo».

Di fronte a questa creatura «di poco inferiore a un dio», come ancora afferma il Salmista (8,6), si pongono non solo la teologia, la filosofia e l’arte, ma anche la scienza e la tecnica. Stupisce che non si sia dedicato un Giubileo specifico agli scienziati e a tutti coloro che operano in un orizzonte divenuto sempre più dominante in una società e nella civiltà contemporanea. Pensiamo, ad esempio, al rilievo che ha la genetica, a partire dalla scoperta del Dna e della sua flessibilità e persino modificabilità, con esiti preziosi per alcune patologie ma pure rischiosi con certe derive del post/transumanesimo.

Impressionante è anche il capitolo delle neuroscienze che si basa su una realtà veramente prodigiosa come il nostro cervello coi suoi 80/100 miliardi di neuroni, tanti quante sono le stelle della nostra galassia, per cui veramente noi siamo un mikròs kósmos, un microcosmo, come già dicevano gli antichi greci. Tuttavia, le domande che nascono sono inquietanti: mente e cervello sono la stessa cosa? L’anima è solo un dato neurale? Come si spiegano coscienza, libertà, volontà, responsabilità, pensiero, arte, insomma il nostro “io”?

C’è, però, un altro percorso della scienza attuale che incessantemente si affaccia sulle pagine dei giornali, moltiplica le bibliografie, genera convegni e persino costella talora il dialogo delle persone di qualsiasi genere, competenza e, non di rado, ignoranza. Stiamo parlando dell’intelligenza artificiale, delle “macchine pensanti”, alcune programmate con algoritmi aperti, ossia dotate di una possibilità di scelta tra opzioni diverse. Si avrebbe, così, una sorta di autonomia della macchina, capace in un certo senso di “autocoscienza”.

Da un lato è indubbia la ricaduta positiva con la robotica nel campo della medicina, delle attività usuranti, della burocrazia gestionale e amministrativa. D’altro lato, però, si configura il rischio che essa sfugga di mano nelle sue applicazioni, soprattutto nei casi di usi sconsiderati, oppure, se lasciate a sé stesse. Le questioni sono talmente complesse da esigere ben altro che queste poche righe sommarie. Uno scienziato ha fatto un confronto suggestivo – tra i tanti possibili – per dimostrare la radicalità tra l’intelligenza umana e quella artificiale, la prima capace di dedurre, la seconda solo di accumulo dei dati.

Se si volesse imparare a giocare a scacchi ci sono due vie: apprendere le regole e allenarsi; oppure studiare tutte le sterminate partite a scacchi e mettersi a giocare usando questa massa di informazioni. La prima via qualitativa è della nostra intelligenza naturale, la seconda quantitativa è quella dell’intelligenza artificiale.