Nelle parole di Isaia che ascoltiamo nella prima lettura della liturgia di questa domenica, risuona l’annuncio dell’intervento creativo e rinnovatore del Signore a favore del suo popolo, pronto a rinnovare i prodigi dell’esodo dall’Egitto: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?». Un popolo non sempre capace di comprendere l’agire del suo Dio e di mostrare gratitudine nei suoi confronti.
Un fatto che è costretto a constatare anche Gesù dopo la sua prima predicazione in Galilea. Il Vangelo di Matteo, da cui è tratta la terza lettura di questa domenica, racconta come si manifestino resistenze e durezze in risposta alla novità portata da Gesù. Tra Lui e Israele sembra esserci dell'incomunicabilità e, di fronte a ciò, egli risponde con un gesto profetico che dichiari tale situazione: si mette a parlare in parabole. Benché spesso le si spacci per storielle dalla facile morale, in realtà sono racconti complessi e dal senso niente a atto univoco. Insomma, Gesù si mette a parlare del regno dei cieli in un linguaggio non semplice da capire, di fronte al quale gli stessi suoi discepoli sono costretti a chiedere spiegazioni.
Nel brano scelto per la liturgia odierna, tratto proprio dal cosiddetto «discorso in parabole», ascoltiamo tre di questi racconti simbolici, tra i quali scegliamo di approfondire solo il primo. La parabola in oggetto parla del Regno pescando le immagini dall’attività agricola. Grano e zizzania hanno sementi che si confondono facilmente e la pratica della contaminazione della semina tra avversari era effettivamente praticata. Lo sradicamento anticipato della zizzania era attuato ma solo no a un certo punto della crescita, perché poi l’intreccio delle radici lo rendeva impraticabile. Dunque, il come contrastare la zizzania è la vera questione in gioco e l’apice della parabola consiste proprio nella decisione di non sradicare. I servi non devono diventare complici del Maligno distruggendo il grano.
Nella spiegazione fornita da Gesù ai suoi il campo è il mondo intero; dunque ciò che la parabola descrive è la sua signoria già in atto, che si manifesta mediante la proclamazione del Vangelo e la vita di coloro che sono chiamati «figli del Regno».
Per Matteo il vero discrimine tra i giusti e gli ingiusti sono le opere. Perciò i «figli del Regno» sono coloro che accolgono la legge divina nella sua essenza, rappresentata dal comando dell’amore, praticandola con radicalità e senza alcun compromesso. Al contrario, i «figli del Maligno» sono coloro che rifiutano l’amore come legge fondamentale del vivere.
Il giudizio, rappresentato dalla fornace, con i suoi tratti apocalittici afferma che tutto ciò che non viene orientato all’amore finisce nel nulla, mentre quel che è vissuto amando incontra la salvezza. Più che una profezia di quel che accadrà un giorno, la parabola è lo specchio di quel che capita nella storia all’annuncio del Vangelo, tra chi si sforza di farne concretamente tesoro e chi ad esso si oppone.


