L’intento di questo primo tempo liturgico, l’Avvento, è che poniamo attenzione all’atteggiamento fondamentale della fede: l’attesa. Avvento vuol dire venuta, e aver fede vuol dire attendere le iniziative del Signore. Il futuro va programmato, certo; ma per il credente va soprattutto atteso. Ciò che è decisivo ci viene incontro ed è off erto da Dio come un dono, un perdono, una salvezza.
La profezia di Isaia parla da dentro l’esilio babilonese annunciandone la fine. Il termine chiave della prima lettura è “giustizia”, purché sia intesa come la giustizia che Dio fa e che è sinonimo di “salvezza”. Per accogliere il dono della salvezza, però, bisogna sapere di averne bisogno e attenderla. Altrimenti ci sfuggirà. D’altra parte sapere di aver bisogno di essere salvati è possibile soltanto quando ci si trova in situazioni senza via d’uscita. Qui il popolo degli esuli è schiavo e come quando era in Egitto attende che Qualcuno li faccia uscire. Può succedere che questa nostra attesa venga derisa, o susciti opposizione. Resistiamo al timore, alla vergogna, o agli spaventi, ci chiede il profeta; la salvezza di Dio arriverà.
Dalla seconda lettura prendo due indicazioni. La prima è l’invito a non allarmarsi. Spaventarsi apre le porte all’inganno. Chi ha interesse a mantenere, o a conquistare, il potere – di qualsiasi genere sia – fa sempre leva sulla paura. Credere, dunque, non signifi ca essere creduloni per debolezza; aiuta invece a stare nella storia, qualsiasi cosa succeda, senza smettere di sperare, avere fi ducia, amare.
Con Matteo siamo nel discorso che Gesù dedica al discernimento profetico della storia. Questo discorso risponde a una domanda che ogni generazione di credenti dovrebbe porsi: cosa, e come, ci è chiesto di vivere nel mondo affinché possiamo essere quello che Gesù desidera, ovvero testimoni e annunciatori della buona notizia, della giustizia di Dio che viene a salvare. Il primo segno che Gesù ci consegna è che le cose, nella storia degli umani, non vanno mai bene. Guerre, carestie, terremoti, epidemie caratterizzano da sempre la storia umana. Sempre, in queste terribili situazioni, c’è qualcuno che facendo leva sullo spavento e sull’angoscia si propone come conoscitore (lui sa quale è il problema) risolutore (sa come uscirne), salvatore (per sempre, o comunque per un tempo significativo). Ebbene, dice Gesù, non dategli credito, vi imbroglia. Soprattutto, ecco la seconda cosa, non pensate che sia la “fine del mondo”. Così facendo abbandonereste le vostre responsabilità, lasciandovi sopravvivere senza fare la cosa necessaria: cioè resistere alle tentazioni di smettere di amare – tanto non serve a niente… – e di cercare colpevoli, perché alla fi ne accuseremmo Dio di essere la causa della fine del mondo. Ma Lui non vuole la fine, desidera piuttosto che il mondo giunga al suo fine, al compimento, alla vita piena per tutti. Come mai abbiamo pensato che il Padre di Gesù potesse far fi nire il mondo? Perché ci viene la tentazione di pensare che in questo momento di violenza e morte sia inutile annunciare il Vangelo?


