Un episodio di guarigione è quanto ci viene proposto dalla lettura evangelica della tredicesima domenica dopo la Pentecoste. Ci troviamo al capitolo 7 del Vangelo di Luca, con Gesù che, dopo il cosiddetto “Discorso della pianura”, fa ritorno a Cafarnao. Benché l’autore del prodigio sia ovviamente Lui, il racconto è tutto incentrato sulla figura del centurione, che appare come il vero protagonista dell’episodio. Per Luca, il soldato non è un giudeo, ma non è detto sia necessariamente romano. Con tutta probabilità doveva far parte delle milizie di Erode Antipa che erano composte da soldati di varia provenienza. Viene introdotto come «amante del popolo», con una ripresa del verbo “amare” non certo casuale, per come ha caratterizzato il discorso sopracitato. Si apprende, dunque, che si tratta di uno straniero che aveva contribuito alla costruzione della sinagoga, cosa in effetti non rara al tempo di Gesù. Doveva essere un “timorato di Dio”, cioè uno dei tanti che, pur non essendo ebrei, rimanevano affascinati dal giudaismo, dai suoi riti e dalla sua etica. Per questo frequentavano il culto e rispettavano i precetti fondamentali della Legge. Gli inviati dal centurione informano della malattia del servo e sottolineano il particolare legame del soldato verso il suo dipendente. La morte minaccia una bella relazione umana, fatta di grande stima e considerazione – cosa per niente scontata – che, insieme alle raccomandazioni degli inviati, fa cogliere la qualità morale del centurione. La fiducia di quest’uomo in Gesù è davvero esemplare. Rinuncia a incontrarlo di persona, confidando nella sua benevolenza e nella potenza della sua parola. Non è la presenza fisica a garantire la salvezza, ma l’amore e la fede nel Signore. Un ulteriore grado di spessore umano e credente, il centurione lo mostra dichiarandosi “indegno”. In pieno e perfetto spirito evangelico, espone il proprio bisogno riconoscendosi inadeguato. Una umiltà d’animo esemplare. La proposta conclusiva che suscita l’ammirazione di Gesù è un atto di fiducia nella sua parola prima ancora che nei suoi gesti. Se lui che è un sottoposto può comandare con la parola altri uomini, a maggior ragione Gesù può compiere opere potenti con le sue parole. La sua argomentazione colpisce quest’ultimo e il servo è guarito, ma ciò che resta negli occhi del lettore, più che il prodigio compiuto, è la figura cristallina del centurione. Di lui ci viene consegnata la grande fede, ma ancor più una profonda capacità di amare. Egli ama un popolo non suo, tratta il servo come un bene prezioso e l’insistenza nel chiedere la guarigione non lascia dubbi sulla bontà del suo affetto. Crede nell’amore e nella dedizione all’altro. Sa che la salvezza sta in una cura vicendevole che supera barriere e frontiere di ogni genere e vede in Gesù lo stesso credo. Parlano lo stesso linguaggio, in fin dei conti. La sua richiesta d’aiuto è un grido di fede altissimo: dove il mio amore non arriva – sembra dire a Gesù – ci arrivi il tuo che non conosce misure e confini.
Domenica 18 agosto 2024 - XIII dopo Pentecoste
14 agosto 2024 • 22:30



