Ad aprire la liturgia della Parola della quinta domenica di Pasqua, sono le parole che Stefano rivolge al Sinedrio di fronte al quale è stato condotto con l’accusa di annunciare una prossima distruzione del Tempio e il sovvertimento delle tradizioni mosaiche da parte di Gesù.
Egli, per tutta risposta, si produce in una sapiente e illuminata lettura della storia di Israele, soffermandosi in modo particolare sulle vicende dei patriarchi e sull’Esodo, per arrivare fino alla costruzione del Tempio. Ma nel suo discorso c’è, nei loro confronti, una chiara e forte accusa di resistenza allo Spirito Santo, che gli costerà la vita.
Stefano, a differenza di loro, si mostra aperto allo Spirito Santo e colmo di quell’intelligenza spirituale a cui fa cenno la Prima lettera ai Corinzi da cui è tratta la seconda lettura. In essa, Paolo racconta come lo Spirito sia portatore di una particolare sapienza, cioè di una profonda visione del mondo, dell’umano e del divino, che ne coglie i significati e le valenze più nascoste. Ad essa non si accede per qualche merito o posizione di privilegio, ma solo per amore. Chi per amore accoglie lo Spirito, impara la sapienza dell’Amore che muove il mondo.
Nella sostanza, è la medesima esperienza di cui Gesù parla e, al tempo stesso, auspica per i suoi discepoli nella parte conclusiva dei grandi discorsi dell’ultima Cena secondo il Vangelo di Giovanni che ascoltiamo come terza lettura. È giunta «l’ora», quella della Croce e del passaggio al Padre e, vedendo ormai prossima la fine, Gesù pronuncia una preghiera di addio.
Il tema che occupa la prima parte della preghiera è quello della «glorificazione». Cristo getta uno sguardo su ciò che ha compiuto e riconosce che in esso il Padre si è pienamente manifestato. Chiede dunque che il momento della Croce non ne sia la smentita, ma un’ulteriore occasione di rivelazione del volto di Dio, cioè di manifestazione della «gloria». La «glorificazione» del Padre e del Figlio non è però fine a se stessa, ma è per il dono della «vita eterna», da intendersi non come esistenza senza fine in un altro mondo, ma come «vita perfetta» nella piena conoscenza di Dio. In questa speciale sapienza che Gesù ha e chiede, la crocifissione viene ribaltata nel suo significato: in essa la relazione con il Padre non viene rotta ma consolidata.
Oltre a parlare del proprio destino, il Maestro considera quello dei suoi seguaci e dei discepoli di ogni tempo, indicando l’essenza della comunità cristiana. Quest’ultima è fondata dalla rivelazione che Gesù ha fatto di Dio. Farne parte è pura grazia e la fede dei discepoli consiste nel rispondere al dono ricevuto accogliendo le parole del Maestro e custodendole.
I discepoli gli sono stati affidati dal Padre, perciò, mentre a Lui ritorna, può ri-affidarglieli in piena fiducia. Il fine è che siano una cosa sola. Dopo la sua partenza, non sarà più Gesù a mantenerli uniti, sarà invece l’amore reciproco che unisce i credenti, frutto non di una disciplina morale ma dell’unità tra Padre e Figlio.


