Nell’umiliazione la gloria di Dio

E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna Giovanni 3,14

La festa dell’Esaltazione della Santa Croce è la contemplazione del mistero stesso della croce. Da strumento di supplizio e vergogna, per opera di Cristo essa è divenuta segno glorioso di salvezza e speranza. Nella liturgia, essa è proclamata “albero della vita”, “trono regale”, “gloria di Cristo”.

Il brano del Vangelo proclamato nella liturgia ci conduce nel cuore della notte, in un dialogo intimo tra Gesù e Nicodemo. Ed è proprio in quel colloquio notturno che Giovanni inserisce una delle sue affermazioni più luminose: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Gesù si riferisce a un episodio del libro dei Numeri (21,4-9): durante il cammino nel deserto, il popolo d’Israele viene morso da serpenti velenosi. Su indicazione del Signore, Mosè innalza un serpente di bronzo su un’asta, e chiunque lo guarda con fede viene guarito. Quel segno antico diventa, per il quarto evangelista, figura profetica della croce: è guardando al crocifisso che si riceve la salvezza, è credendo nel Figlio innalzato che si ottiene la vita eterna. I

ll verbo “innalzare” è carico di significato e particolarmente caro all’evangelista Giovanni. È un verbo a doppio senso: da un lato significa “esaltare”, “dare gloria”; dall’altro, più crudelmente, indica l'lnnalzamento fisico sulla croce. In Gesù questi due significati coincidono: essere crocifisso è, per lui, essere glorificato. Appeso al legno, Gesù è innalzato agli occhi del mondo e assunto nella gloria del Padre, perché lì si compie il suo amore fino alla fine (Giovanni 13,1). È proprio sulla croce che Cristo si rivela come Re, come Signore della vita, come colui che attira tutti a sé: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono» (8,28); «Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (12,32).

La croce non è un inciampo, ma il cuore stesso della rivelazione cristiana. È il trono del Re, l’inizio del suo regno, la manifestazione del volto misericordioso di Dio. La croce di Cristo segna il passaggio decisivo dalla legge alla grazia: non è più il rispetto esteriore dei precetti – rappresentato da Nicodemo – a salvare, ma la fede nell’amore crocifisso, che dona la vita. La croce è la nuova Pasqua, attraverso la quale Dio salva il mondo e inaugura la vita eterna. Tutto culmina nel versetto più celebre: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna ». Ecco perché si può esaltare la croce: non perché essa sia strumento di morte, ma perché è divenuta strumento di amore e di vita. Non è la sofferenza in sé ad essere celebrata, ma l’amore che nella sofferenza si dona. Innalzare la croce, allora, significa riconoscere in essa il segno più alto della gloria di Dio.