La Chiesa, una grande famiglia di testimoni

Gesù domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» Matteo 16,18

Le chiese d’oriente e d’occidente celebrano oggi la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, nella data in cui, secondo un’antica tradizione, sarebbe avvenuto nel 64 il loro martirio a Roma. Nella pagina del Vangelo offerta dalla liturgia si nota come Pietro abbia avuto un’illuminazione straordinaria, addirittura una rivelazione sulla persona di Gesù. «Voi, chi dite che io sia?». Questa domanda, dopo avere attraversato la coscienza di Pietro e dei discepoli, rimbalza ora sulla sponda della nostra esistenza e si ripercuote dentro la cella segreta della nostra interiorità.

Chi è Gesù per noi? Che cosa rappresenta per la nostra vita? Se mancasse Gesù, cambierebbe qualcosa nel nostro modo di affrontare l’esistenza? È chiaro che ciascuno viene personalmente interpellato e deve dare una risposta che nasca dal suo particolare rapporto con Gesù. Certamente potrebbe utilizzare intuizione e parole che appartengono alla tradizione cristiana (anche Pietro, del resto, nella sua risposta si serve di categorie religiose preesistenti), ma ciò che conta è che vengano investite di quel particolare pathos che rivela un legame personale, insostituibile e irrinunciabile.

Forse le risposte più belle per Gesù sono quelle che, discostandosi dal linguaggio tradizionale, esprimono fede e amore in forme nuove, con la libertà che è propria degli innamorati quando sanno inventare un “lessico famigliare” pieno di immaginazione e di freschezza poetica. E quando il pensiero di Dio potrebbe alimentare qualche paura, è ancora Gesù che ci restituisce la pace che andiamo invocando.

Per questa via possiamo anche capire che cosa significhi appartenere a quella Chiesa a cui Gesù allude quando dice a Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa». Questa Chiesa, prima di essere immaginata come una comunità strutturata per mezzo di una precisa gerarchia che trova in Pietro il suo punto di coesione, dovrebbe essere vista come una grande famiglia di testimoni in cui ciascuno, facendo eco alla confessione di fede data da Pietro, è chiamato a dire a Gesù: «Grazie, o Signore, perché tu mi riveli la prossimità, la tenerezza, l’amicizia di Dio, tu che di Dio sei il volto e l’immagine più vera. Grazie perché è meraviglioso sapere che c’è Dio che ci ama e a noi chiede anzitutto di lasciarci amare».

Ci è di aiuto anche la testimonianza di san Paolo. La seconda lettura offre infatti il testamento spirituale in cui lui, consapevole della morte imminente, fa il bilancio della propria vita ed esprime la sua profonda convinzione di fede: «Io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione» (2Timoteo 4,6-8). Nonostante l’abbandono di tanti uomini e la difficoltà dell’ora presente, Paolo non si sente solo: «Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutte le genti: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen» (4,17-18).