Quel fuoco che trasforma

Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione Luca 12,51

Dal Vangelo secondo Luca ascoltiamo ancora una catechesi di Gesù che presenta la sua venuta come un fuoco portato sulla terra e la sua stessa persona che non crea quieto vivere, ma suscita divisione. «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra» (Luca 12,49). Questa parola di Gesù è decisamente provocatoria. Sembra contraddire tante altre sue affermazioni, che lo presentano come colui che porta pace sulla terra agli uomini amati dal Signore. Eppure oggi, con disarmante chiarezza, Gesù dice di non essere venuto a portare la pace, ma la divisione.

Cosa vuol dire? Qui per “pace” non si intende la pace vera, quella messianica, frutto dello Spirito e della riconciliazione. Qui Gesù prende le distanze da una falsa idea di pace: quella della tranquillità apparente, dell’assenza di problemi.

Gesù non è venuto a rendere la vita più comoda, più facile, più protetta. Non è il garante del benessere o della serenità a buon mercato. Non promette che andrà tutto liscio, che non ci saranno scosse, ostacoli o conflitti. Al contrario, la sua presenza nella storia scuote, interroga, mette in crisi. Il Vangelo, quando viene preso sul serio, costringe a scegliere, e la scelta non è mai indolore. Gesù sa bene che la sua Parola crea divisione, e avverte i suoi discepoli che anche le relazioni più intime, come quelle familiari, possono essere attraversate da questo conflitto. Può accadere, infatti, che all’interno di una stessa famiglia qualcuno riconosca in lui il Cristo, il Salvatore, mentre qualcun altro lo rifiuti o resti indifferente.

Seguire Gesù non significa evitare la fatica della vita, ma accettare il rischio della verità. Non illudiamoci: il Vangelo non ci protegge dalle difficoltà, ma ci dona la forza e la luce per attraversarle in nome della fedeltà e dell’amore.

Il discorso finale del brano evangelico – escluso dalla lettura liturgica – è rivolto ai farisei, ma interpella ogni epoca, anche la nostra: «Sapete interpretare l’aspetto del cielo, ma questo tempo non sapete discernere…» (Luca 12,56). Gesù denuncia con forza la loro ipocrisia, la loro ingiustizia, la loro incapacità di giudicare rettamente. E lo fa con una certa ironia: riconosce quanto siano attenti a leggere i segni del cielo per prevedere il tempo – esigenza concreta per chi vive in un contesto rurale – ma li accusa di non saper riconoscere i segni ben più importanti: quelli nascosti nella storia, negli eventi, nell’intreccio profondo dell’esistenza. Proprio come fece Geremia con gli israeliti (I Lettura). Sono questi i “segni dei tempi”, che non si trovano nelle nuvole o nei venti, ma che chiedono uno sguardo profondo, limpido, attento. Segni che non solo parlano di Dio, ma ci educano a ben giudicare, a leggere con sapienza “questo tempo” e ad abitare il presente come luogo di decisione. Per questo, nel Vangelo di Luca il discernimento è un esercizio che richiede alcune condizioni fondamentali: riferimento continuo alla Parola, accolta non come citazione ripetitiva, ma come luce viva che illumina il presente; capacità di attualizzare, cioè di leggere la realtà con uno sguardo evangelico, andando oltre le letture automatiche o ideologiche; purezza interiore, una disponibilità radicale alla verità, alla giustizia, alla volontà di Dio.