Non invitati, ma ospiti del Regno

[...] quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti Luca 14,13-14

Durante un pranzo, Gesù vede che molti scelgono i primi posti e ne approfitta per offrire un insegnamento sull’umiltà e sulla gratuità. Il Maestro racconta una parabola che va oltre una lezione di buone maniere: propone un criterio per stare davanti a Dio e, di conseguenza, per vivere le relazioni con gli altri: «Quando sei invitato a un pranzo, non occupare il primo posto, perché potrebbe esserci qualcuno più importante di te, e ti sarà chiesto di lasciargli il posto… ».

Gesù, «mediatore dell’alleanza nuova» (cfr. Lettera agli Ebrei, seconda Lettura), sceglie l’immagine del banchetto per smascherare un atteggiamento diffuso: il desiderio di emergere, di essere riconosciuti, di sentirsi superiori. Il bisogno di apparire, di possedere, di affermarsi attraversa molti ambiti della nostra vita: l’ambizione, l’orgoglio, la corsa a posizioni di prestigio per sentirsi “più” degli altri. Una mentalità che spesso guida le nostre scelte, anche senza che ce ne accorgiamo.

Alla radice c’è una presunzione antica: ritenersi giusti, più meritevoli degli altri. Un atteggiamento che genera arroganza e divisioni, come mostra la parabola del fariseo e del pubblicano al tempio. È l’arroganza di chi si presenta a Dio con bilanci in pareggio o, peggio, con un credito. Ma davanti a Dio non si tratta di vantare meriti, bensì di accogliere la misericordia.

Dopo essersi rivolto ai commensali, Gesù parla al padrone di casa: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini». Perché invitare solo loro? La logica del Regno è capovolta. Al gruppo di quattro sostantivi (amici, parenti, fratelli, vicini) viene opposto un altro gruppo di quattro sostantivi: poveri, storpi, zoppi, ciechi. Gli ultimi tre erano esclusi dal culto del tempio e dalla piena partecipazione alla comunità di Dio. Proprio con loro Gesù entra in comunione, manifestando la prossimità e la tenerezza del Padre.

Le sue parole vanno lette alla luce del Discorso della montagna, al quale chiaramente si riferiscono: «Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso» (Luca 6,32). E ancora: «Sarai beato perché non hanno nulla da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». Qui Gesù ci propone uno stile di vita fondato sulla gratuità e sulla solidarietà universale, che riflette lo stesso amore di Dio, attento ai piccoli e agli emarginati. Gesù scuote le coscienze, mette a nudo le false generosità, che spesso sono solo gesti abitudinari legati ai gusti personali o alla nostra sensibilità. Ci invita a fare un passo in più, superando la logica del tornaconto per entrare nella logica del dono. Donare con impegno, servire con sincerità senza attendere ricompense o aspirare al potere o cedere all’orgoglio che ci porta a pensare: «Io sono migliore degli altri».

Il banchetto diventa così immagine del Regno e della comunione eucaristica: luogo di festa, di amicizia, di dialogo e di condivisione. È la gioia di stare insieme, di condividere ciò che si ha o anche solo ciò che si spera. Ma non può essere riservato a pochi né chiuso a certe categorie. Deve essere aperto a tutti, soprattutto a chi non ha nulla.