Il morbo dell’ingratitudine
[ ...] Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Luca 17,17
Gesù è in cammino verso Gerusalemme. In un villaggio gli si avvicinano dieci uomini lebbrosi. La lebbra, più che malattia fisica, è simbolo di separazione, di emarginazione, di esclusione dalla comunità e dal culto. Questi uomini non possono avvicinare gli altri né Dio; la loro vita è sospesa nella lontananza, nel grido, nell’attesa. Eppure il loro appello raggiunge Gesù. La sua misericordia non fa distinzioni. Tutti e dieci credono alla sua parola e, senza indugio, si mettono in cammino verso i sacerdoti secondo la Legge. Lungo la strada, come per un miracolo silenzioso, sono purificati. Ma tra loro solo uno torna indietro. È un samaritano, uno straniero, colui che la comunità disprezza e rifiuta. Il suo tornare non è un semplice gesto fisico: è un vero e proprio rivolgimento interiore. “Tornare”, nel linguaggio biblico, significa conversione. Significa ritornare a Dio, riconoscere la sorgente di ogni dono, abbandonare l’indifferenza e scoprire la gratitudine come via di trasformazione. Gesù loda la fede di questo uomo, sottolineando che il cuore che riconosce il bene ricevuto è ciò che salva.
Il samaritano non si limita a percepire la guarigione: egli unisce nella stessa lode Dio e Gesù. La sua gratitudine diventa riconoscimento, adorazione e azione di grazie. Riconosce davanti a tutti che la salvezza è dono, che la misericordia non ha confini né pregiudizi. La fede, allora, non è un fatto privato, ma un gesto visibile che trasforma chi lo compie e chi lo osserva. Spesso, rifletteva il cardinale Carlo Maria Martini, ci troviamo tra i nove che non sanno tornare indietro. La fede rischia di diventare abitudine, il dono appare scontato. Così perdiamo la forza di stupirci, la capacità di tornare a Dio e di riconoscere che ogni istante della vita è un’occasione di grazia. Il samaritano, invece, ci mostra che la vera libertà nasce dal cuore che sa dire grazie, dalla coscienza che ogni gesto di bene, ogni parola, ogni incontro è dono da lodare.
Questa pagina invita a riflettere anche sul nostro tempo. Viviamo in un mondo che corre, che separa, che distingue tra “noi” e “gli altri”. La vita ci pone davanti a molte occasioni per dimenticare di riconoscere i doni ricevuti: salute, amicizia, fede, possibilità di essere generosi. Eppure, come il samaritano, possiamo tornare indietro. Possiamo fermarci, volgere lo sguardo verso chi ci ha preceduto nel dono, scorgere la presenza di Dio nei gesti più piccoli e ordinari, e trasformare la nostra gratitudine in vita concreta, aperta e luminosa.
La domanda di Gesù resta aperta: «E gli altri nove dove sono?». Non è una condanna. È un invito a fermarsi, a voltarsi, a ritrovare la sorgente della propria vita spirituale. È un richiamo a scoprire la bellezza del dono ricevuto e a lasciarsi trasformare dalla gratitudine. L’Eucaristia è il gesto supremo del ringraziamento. La Messa domenicale non è un obbligo né una tassa da pagare al Signore, ma l’autentico atto di affetto di chi riconosce la sua presenza e i doni ricevuti. Partecipare significa accorgersi della grazia di ogni istante e offrire a Dio la propria gratitudine. Trascurare la Messa è segno di una fede che rischia di diventare abitudine, fino a lamentarsi quando i progetti e la vita vengono sconvolti. La vera fede, invece, si manifesta nel ritorno quotidiano al Signore, nel riconoscere la sua grazia e trasformarla in gesti concreti di amore e di lode.


