di Anna Caiazza, superiora generale delle Figlie di San Paolo

Non ho potuto sottrarmi al fascino del tema scelto da papa Francesco per la 59ª Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali: Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori (cfr. 1Pt 3,15-16). Soprattutto mi ha attirato la sequenza dei termini condivisione-mitezza-speranza, paradigma - oggi più di sempre - di un'autentica comunicazione "umana". Sì, perché «la comunicazione è (...) una conquista più umana che tecnologica», come Francesco aveva sottolineato nel 2014 con il suo primo Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni.

Comunicare è condividere, è mettere in comune qualcosa che ci appartiene. In un momento così buio per la storia della umanità, in una fase di così accesa e incontrollata conflittualità a tutti i livelli, soltanto nella condivisione mite si può trovare la strada per ridare anima alla comunicazione e permetterle di aprire processi di pace.

La mitezza, e non l'arroganza, è virtù dei forti. Papa Francesco dice che ci vuole «davvero coraggio per essere miti! Ma bisogna andare avanti con la mitezza. Questo non è il momento di convincere, di fare discussioni. Se uno ha un dubbio sincero, sì, si può dialogare, chiarire. Ma non rispondere agli attacchi».

La mitezza viene dal "calore dell'amore", che si sprigiona da chi lotta ogni giorno con sé stesso per conservare uno sguardo mite, per imparare a parlare con tutti, per dare valore a tutto, anche a ciò che sembra di poco o nessun conto, anche alla fragilità.

Il pensiero corre a un'immagine e a parole che hanno varcato i secoli, le parole di Gesù: «Beati i miti perché avranno in eredità la terra» (Mt 5,5). Per i miti la terra non è, dunque, spazio di contesa e di violenza, ma di comunione e di condivisione; è possibilità di vita, condizione per realizzare la vita.

Buona notizia, quella proclamata da Gesù sul Monte! Come buona notizia fu il suo ingresso "trionfale" su un puledro d'asina e non su un fiero cavallo, cavalcatura degli arroganti conquistatori. Fu buona notizia che lasciasse a futura memoria, il cingersi i fianchi col grembiule del servo e chinarsi a lavare piedi sporchi e affaticati. Buona notizia, l'indicazione su come ereditare - e non occupare - la terra.

Là dove c'è mitezza è possibile la pace. Là dove ci educhiamo a diventare miti, collaboriamo a seminare il Regno, a far germogliare la speranza di un mondo nuovo, nel quale si compiono le promesse di Dio.

Ricorro al card. Martini, insigne biblista e pastore che, nel libro “Beati voi! La promessa della felicità”, svolge interessanti considerazioni sulla mitezza, "maestra" quotidiana di vita, offrendo indicazioni molto concrete che possono servire per connotare di mitezza i rapporti tra noi e con gli altri. Non voler aver sempre l'ultima parola nelle discussioni. Non rispondere al male col male. Per "male" non si intendono soltanto le violenze fisiche ma pure quelle piccole malignità della conversazione a cui noi siamo spesso tentati di rispondere con altrettante piccole cattiverie; tutte le insinuazioni a cui vorremmo rispondere con altrettante insinuazioni. Tutto ciò va contro la mitezza cristiana.

Se coltiviamo atteggiamenti di mitezza, ci formiamo a uno spirito di dolcezza e di pace, non siamo puntigliosi, non serbiamo rancore né astio, non aspettiamo di essere corrisposti per esprimere benevolenza, amore, misericordia (che è pienezza della mitezza).

E affronteremo con serenità quanto la vita ci propone in ogni momento. Beati noi se percorreremo con umile tenacia «la strada della mitezza evangelica per lasciare allo Spirito la possibilità di rigenerarci a una vita nuova» (papa Francesco).

- Articolo tratto da PAGINE APERTEspeciale Settimana della Comunicazione

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