Lunedì scorso l'Unicef ha pubblicato un rapporto che chiarisce l'effettiva diffusione e analizza le giustificazioni sociali di una pratica disumana: le mutilazioni genitali. I numeri sono agghiaccianti: 125 milioni di donne e ragazze ne devono subire le conseguenze fisiche e psicologiche. Il rapporto inoltre indica che la pratica continua principalmente per via di una consuetudine sociale, ma la maggior parte delle donne e anche degli uomini vorrebbero porvi fine.

Da tempo si svolge opera di sensibilizzazione su un tema tanto grave: se inizialmente i programmi di intervento erano concentrati principalmente sui rischi sanitari e sulla salute della donna, dal 1993 in poi, quando la pratica è stata classificata come violazione dei diritti umani, sono stati compiuti molti passi in avanti anche dal punto di vista legislativo, e in molti Paesi la pratica è stata vietata dalla legge.

In Africa e Medio Oriente attualmente l'infibulazione è praticata in 29 Paesi e oltre metà delle donne che l'hanno subita, senza anestesia, si concentra in tre nazioni: Etiopia, Nigeria ed Egitto. Risulta quanto meno sorprendente apprendere che in Egitto il 91 per cento delle donne abbia subito mutilazioni –  sono 27 milioni  – e che il 77 per cento di queste si avvenuta presso un medico professionista: quest'aspetto indica quanto radicata sia la pratica e, al tempo stesso, solleva domande di ordine etico sui dottori e le infermiere che la praticano.

Tra i Paesi africani, in cima a questa triste classifica ci sono la Somalia, con il 98 per cento delle donne mutilate, e la Guinea, con il 96 per cento. Al contrario Camerun e Uganda guidano i Paesi virtuosi, con solo l'1 per cento delle donne. Il rapporto Unicef individua comunque dei segnali incoraggianti; in più della metà dei Paesi studiati le mutilazioni femminili sono diventate sempre meno frequenti e, per esempio in Kenia e Tanzania, la percentuale di donne tra i 45 e i 49 anni, che l'hanno subita e che oggi sono contrarie, supera di tre volte quella delle quindicenni.

La ricerca effettuata da Unicef ha rilevato che, nei Paesi dove si pratica l'infibulazione, la maggioranza delle ragazze e donne pensano che la pratica dovrebbe cessare. Inoltre, persino dove essa è ancora molto diffusa, la percentuale di donne che la sostengono è nettamente inferiore a quella di chi l'ha subita. In 11 Paesi dove è stato possibile raccogliere dati, almeno il 10 per cento delle donne mutilate ha detto che non se ne trae alcun beneficio, per arrivare fino al 60 per cento in Kenia.

Ma probabilmente il dato più incoraggiante riscontrato dall'Unicef è il numero elevato di uomini favorevoli alla fine delle mutilazioni. Esse sono state spesso indicate come una manifestazione del controllo patriarcale degli uomini sulle donne, ragion per cui ci si sarebbe aspettati un risultato di segno opposto: al contrario, il rapporto segnala che in Chad, Guinea e Sierra Leone ci sono più uomini che donne contrari alle mutilazioni. Quanto alla convenzione sociale, secondo la quale una ragazza non troverebbe marito senza essere prima mutilata, il rapporto ne ridimensiona la portata: in proporzione poche donne hanno addotto il matrimonio come giustificazione per continuare la pratica.

Sottrarre 30 milioni di bambine e ragazze al rischio di subire mutilazioni genitali è quindi l'auspicio dell'odierna Giornata mondiale contro le MGF. L'istruzione si conferma come la migliore forma di prevenzione.

Per maggiori informazioni consultare il sito: www.unicef.it