In tutto il mondo oltre 295 milioni di persone sono colpite da fame acuta, di cui quasi la metà - 140 milioni, numero equivalente a oltre il doppio dell'intera popolazione italiana - a causa di guerre e conflitti armati, che nell'ultimo anno hanno innescato 20 crisi alimentari. In diversi contesti, la fame non è stata soltanto una conseguenza “collaterale” della violenza armata, ma è stata deliberatamente inflitta attraverso assedi, blocchi degli aiuti e distruzione delle infrastrutture agricole, ovvero utilizzata come una vera e propria arma di guerra.

Gaza è l’esempio più emblematico: negli ultimi due anni il Ministero della Salute locale ha documentato 461 decessi correlati alla malnutrizione (oltre 270 solo nel 2025), tra cui 157 minori. Attualmente 320mila bambini sotto i 5 anni a rischio di malnutrizione acuta e oltre 20mila persone sono rimaste uccise nel tentativo di procurarsi del cibo e accedere agli aiuti.

Sono alcuni dei dati contenuti nell’Indice globale della fame 2025 (Global Hunger Index – GHI), uno dei principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato dalla Ong Cesvi per l’edizione italiana e redatto da Welthungerhilfe (WHH), Concern Worldwide e Institute for International Law of Peace and Armed Conflict (IFHV). Il rapporto prende in esame quattro indicatori: denutrizione, arresto della crescita infantile, deperimento infantile e mortalità infantile.

Nella Striscia di Gaza, dalla metà di marzo oltre 1,2 milioni di persone sono state sfollate. La malnutrizione infantile è aumentata rapidamente: nel corso dell’estate 2025 sono stati individuati tra i bambini con meno di 5 anni ben 28 mila casi di malnutrizione acuta, un numero più alto delle diagnosi totali dei sei mesi precedenti. Oltre 55mila donne in gravidanza o in allattamento e 25mila neonati necessitano urgentemente di supporto nutrizionale e la produzione alimentare locale è crollata: oltre il 98 per cento dei terreni coltivabili è danneggiato o inaccessibile. La distruzione delle infrastrutture agricole, la presenza diffusa di ordigni inesplosi e il collasso dei servizi idrici, sanitari e di salute pubblica renderanno la ripresa estremamente lunga, e i mezzi di sussistenza e la nutrizione saranno in pericolo ancora per anni.

CESVI è presente nei territori palestinesi dal 1994 e con l’inizio del conflitto ha intensificato gli sforzi per fornire acqua pulita e servizi essenziali di igiene alla popolazione Gaza, oltre che per migliorare la gestione dei rifiuti, mitigare il rischio di alluvioni e ridurre i rischi di malnutrizione acuta. L’organizzazione negli ultimi due anni non ha mai interrotto le proprie attività, rimanendo sul campo con il proprio staff locale e internazionale per garantire la sopravvivenza delle famiglie sfollate. Attualmente l'organizzazione fornisce quotidianamente, a Gaza City e nel centro della Striscia, 50-55mila litri di acqua potabile nei campi sfollati. Le attività di distribuzione nella Striscia hanno raggiunto complessivamente circa 105.000 gazawi, con 30 milioni di litri di acqua distribuiti. Continua inoltre l’installazione di latrine e la riabilitazione delle infrastrutture igienico/sanitarie nei campi sfollati di Deir al Balah e Khan Younis.

«Accogliamo con speranza le notizie di un accordo sul termine del conflitto, che ci auguriamo possa essere duraturo e definitivo, ma è fondamentale ricordare che quella in corso a Gaza continua a essere un’emergenza umanitaria di gravissima portata», spiega il direttore generale di Cesvi Stefano Piziali. «La ripresa sarà lunga e difficile: milioni di persone vivono in condizioni catastrofiche, senza sicurezza né accesso sufficiente a beni essenziali, e le ferite materiali e psicologiche sono molto profonde. La macchina umanitaria in questo conflitto è stata stravolta ed è necessario che riprenda rapidamente a muoversi in maniera tempestiva, efficace e senza ostacoli: portare soccorso ai più vulnerabili resta una sfida, condizionata da ostacoli logistici e da un equilibrio ancora incerto. Senza un accesso continuativo e coordinato, il rischio di abbandonare la popolazione a un destino segnato rimane concreto. Qualsiasi ulteriore ritardo, comporterebbe un aumento inaccettabile della mortalità legata alla carestia. Cesvi ribadisce che il rispetto del diritto internazionale e della neutralità umanitaria è indispensabile per proteggere i civili e garantire che gli aiuti arrivino realmente dove servono. Esortiamo tutte le parti a garantire l’accesso e la distribuzione degli aiuti umanitari in quantità adeguata per rispondere all’emergenza umanitaria e avviare un percorso volto a costruire le condizioni per una pace sostenibile. A Gaza servono interventi tempestivi, ma anche un impegno costante nei mesi e negli anni a venire per accompagnare verso un futuro dignitoso e sereno una popolazione stremata da anni di privazioni e violenza».

Secondo il rapporto, attualmente sono oltre 40 i Paesi del mondo che stanno fronteggiando livelli di fame grave e allarmante. Solo nel 2024 quasi la metà (47%) dei casi di fame acuta in tutto il mondo sono stati provocati da scontri armati. Oltre a Gaza, la situazione è devastante in Sudan, dove è in corso una guerra civile da aprile del 2023. La fame ha raggiunto livelli allarmanti in sette Paesi: Haiti, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan, Burundi e Yemen. A livello regionale, la fame resta grave in Africa subsahariana e in Asia meridionale. In Chad, Niger, Nigeria e Somalia il livello della mortalità infantile sotto i 5 anni resta estremamente allarmante. In Sudan e Sud Sudan il conflitto in corso dal 2023 ha frammentato i sistemi alimentari, ostacolato la distribuzione degli aiuti e provocato lo sfollamento di milioni di persone. In Asia, il Myanmar è uno dei Paesi che affrontano le difficoltà peggiori.

In alcuni Paesi come Bangladesh, Nepal, Togo, India, Etiopia, Angola e Sierra Leone si registrano dei progressi: dimostrano che politiche mirate e investimenti costanti possono produrre risultati concreti nella lotta alla fame. Si tratta però di progressi fragili: senza strategie di lungo periodo, sistemi di allerta precoce e strumenti di relisienza climatica i miglioramenti rischiano di non consolidarsi. Per questo il rapporto lancia un appello urgente per rafforzare gli aiuti, investire in sistemi alimentari resilienti, adottare politiche di lungo periodo e garantire il diritto al cibo come diritto umano fondamentale.

(Foto Cesvi: distribuzione di acqua a Gaza)