PHOTO
La natività di Filippo Lippi Santa Maria Assunta a Spoleto (Perugia)
Il bue e l’asinello nel presepe sono un’istituzione, nessuno (o quasi) oserebbe allestirne uno senza di loro.
Eppure non sono sempre stati lì: «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo», si legge nel Vangelo di Luca, niente altro.
Nell’affresco di Giotto, che nella Basilica superiore di Assisi raffigura il presepe di Greccio (fine XIII secolo), il bue e l’asino invece ci sono e anche nella tenera Natività degli Scrovegni a Padova. Maurizio Bettini, professore emerito di Filologia classica all’Università di Siena e direttore del Centro Antropologia del mondo antico, che al tema nel 2018 ha dedicato il libro Il presepio per Einaudi, è l’uomo giusto per guidarci dentro la storia di uno dei simboli del Natale più presenti nelle nostre case.
Professor Bettini, tanto per cominciare: presepe o presepio?
«È esattamente la stessa cosa: ho scelto presepio, trasformazione italiana della parola latina presepe, perché lo sento più popolare».
Tra il Vangelo di Luca e il presepe vivente allestito a Greccio da Francesco d’Assisi nel 1223 passano oltre 1.100 anni. Quando arrivano il bue e l’asino?
«È una marcia progressiva. Li si pensa come l’aspetto più popolare, semplice, fiabesco e, invece, il loro inizio è singolare e dottissimo: Origene, grande allegorista del terzo secolo, in cerca di analogie che gli permettano di dire che nelle Scritture era prevista la nascita del Salvatore, cita una profezia di Isaia: “Il bue riconosce il suo padrone, l’asino riconosce la mangiatoia del suo Signore”. Nella Bibbia il bue è animale sacro e rappresenta i giudei, l’asino, animale immondo, rappresenta i gentili ed è l’asino a riconoscere la mangiatoia, cioè la divinità di Gesù. Di qui lentamente gli animali entrano a far parte della scenografia della Natività come se davvero fossero stati lì».
(Proprio a proposito dell’assenza, sta facendo discutere il presepe allestito alla Camera dei deputati, realizzato dall’artista campano Alfonso Pepe, che ha rivelato che è stata una sua scelta dettata dalla mancanza di spazio nel portale in cotto e tufo che accoglie la Sacra famiglia, ndr).
Diamo loro il ruolo di riscaldare il Gesù, ha un senso?
«A mio giudizio l’allegoria è rafforzata dal fatto che esiste un tipo mitico antico per cui sono gli animali a prendersi cura dei bambini in pericolo, perseguitati o esposti nella natura: Zeus nutrito dalle api, Romolo e Remo allattati dalla lupa, Ciro il grande salvato dalla capra... Significa che gli animali, più vicini alla natura, capiscono meglio e prima dell’uomo l’importanza del bambino».


Adorazione dei Magi Pedro Pedro Atanasio Bocanegra, Granada
Nel Vangelo ci sono invece i Magi, per l’antropologo chi sono: maghi o re?
«All’inizio sono maghi, vengono dall’Oriente, cosa che dà loro carattere esotico. Probabilmente nel significato primitivo, in società che credono alla magia, sono maghi che di fronte a Gesù sentono i loro poteri sovrannaturali venir meno: di qui l’omaggio, ammissione della propria inferiorità. Questa lettura “magica”, però, col tempo rischia di farsi scomoda per la nuova religione e già Tertulliano comincia a dire che i Magi nella realtà dei loro Paesi sono dei capi assoluti e, di lì con altre risonanze bibliche, a poco a poco diventano re».
Come nascono l’iconografia delle loro ricche vesti, il numero di tre, i nomi?
«In un testo dell’VIII secolo, attribuito al Venerabile Beda, anche se non è certo che sia suo, c’è la prima descrizione del vestire variopinto dei Magi, dei loro nomi, dei loro atteggiamenti: i dettagli fanno pensare che stia descrivendo lo splendore di un mosaico come quello di Sant’Apollinare a Ravenna. Il Vangelo di Matteo li nomina, dice che vennero dei Magi portando in dono oro, argento e mirra. In certe tradizioni orientali se ne vedono anche dodici con i loro eserciti, in altre occidentali solo due, ma poi il fatto che i doni siano tre suggerisce che ne portino uno ciascuno».


La statuine di Jannik Sinner, con la coppa conquistata agli Open di Australia, realizzata a Napoli dall'artigiano del presepe di San Gregorio Armeno Genny Di Virgilio, 2024
E le statuine, popolo di umili mestieri, chi sono?
«I pastori fanno parte del nucleo originario, nel Vangelo di Luca rappresentano la Rivelazione rivolta agli strati più umili. Il pastorello stupito e quello addormentato sono dei “tipi” ormai fissi: il primo mostra la meraviglia, l’altro è stato interpretato come quello che ha sognato l’annuncio e accorre. Il resto, secondo me, è la vera invenzione di san Francesco a Greccio, che invita tutta la popolazione dei dintorni ad ammirare il suo presepe vivente. Così la Natività si arricchisce di un popolo variopinto che siamo noi, tutti, non più spettatori esterni, ma ammessi dentro la scena, come destinatari della Buona Novella: l’uomo che porta il sacco di zolfo in Sicilia, la ragazza che fa la polenta nelle regioni del Nord, fino alle invenzioni napoletane che reclutano le celebrità del momento. Il messaggio di fondo è la volontà di includere sempre di più: nel presepio c’è posto per l’umanità intera».








