A Montodine, nella bassa Cremasca, la porta della Capanna di Betlemme cigola piano. Non c’è insegna sui mattoni rossi, né bacheche, né orari: basta bussare. È qui che Silvia, Giuseppe, Momo, Laurentiu ed Eros hanno trovato un riparo dopo anni di panchine, stazioni, dormitori pieni e notti sbagliate. Un luogo che, dopo un passato di strada, oggi chiamano tutti “casa”.

La Capanna è così: un luogo che non si spiega, si attraversa. «È più relazione, legami e aiuto reciproco, che un tetto e un letto», dice Lodovica Ghezzi, responsabile lombarda della Comunità Papa Giovanni XXIII. «Chi arriva qui non trova un servizio, ma qualcuno disposto a imparare a volergli bene per davvero».

La casa nasce nel 2017, per dare dignità a persone che difficilmente potranno riconquistare un’autonomia. «Un luogo di medio-lungo periodo, a volte di vita intera», spiega. «Per qualcuno siamo noi a far da ponte fino all’ultimo tratto». Ma qui non c’è la rassegnazione dell’assistenzialismo: c’è il lavoro, l’impegno per la comunità e il territorio. Gli ospiti accolti puliscono l’oratorio, tagliano l’erba, aprono e chiudono gli spazi parrocchiali, ma raccolgono anche le eccedenze alimentari nei supermercati della zona: due volte a settimana selezionano, impacchettano e distribuiscono i cibi alle case famiglia della Papa Giovanni e alle famiglie fragili di Montodine.

Davide porta il pane a tavola. Alle sue spalle il ritratto di don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII

«Da aiutati diventano aiutanti», dice Duilio D’Ambrosio, referente delle attività della Comunità tra Milano e Crema e che per anni ha vissuto in Capanna. «È il modo più semplice per restituire dignità». Duilio sa bene cosa significa. Dieci anni fa era un giovane universitario dell’unità di strada. Una sera, un tè caldo e una coperta consegnati in Duomo a Milano gli cambiarono la vita più di quanto immaginasse. «All’inizio è solo presenza: stai lì, ascolti, non giudichi. La fiducia nasce così. Noi torniamo ogni settimana, anche quando ci dicono di andar via».

Le unità di strada della Papa Giovanni sono composte da 20-30 giovani: parrocchie, scout, volontari che ogni mercoledì sera raggiungono Milano. Mappa non ce n’è, solo volti. «La strada è relazione. Quando una persona ti dice “provo”, la accompagni fino alla porta della Capanna. Il primo giorno è sempre un terremoto: paura, vergogna, speranza insieme».

La cella frigorifera in cui Giuseppe e Laurentiu ripongono il cibo donato

E qui, poi, cosa succede? «La prima parola è casa», racconta Gian Marco, che dalla porta della Capanna di Betlemme di Milano è entrato una notte di pioggia. «Mi hanno chiesto se avessi fame. Non da quanto tempo non mangiavo: se avessi fame ora». È questa la differenza. «Nessuno ti ricorda la tua caduta. Ti ricordano che esisti». Anche oggi Gian Marco, che da anni è membro di una casa famiglia della comunità ideata da don Oreste Benzi, continua a dare una mano come può: turni in cucina, distribuzione viveri, piccoli lavori. «Mi hanno insegnato ad essere visto».

La Capanna è, tecnicamente, una struttura residenziale. Ma nella versione di Montodine è qualcosa in più: «Questa è casa degli accolti», spiega Lodovica. «Noi operatori ci alterniamo, ma loro restano. Loro custodiscono il luogo». Due volontari e un giovane del servizio civile vivono stabilmente con gli accolti. Ogni gesto è condiviso: la cena, la Tv, la lavatrice. Anche i conflitti: «Una persona del servizio civile, convinto di fare un favore, ha cambiato il programma della lavatrice… disastro. Calzini ristretti, maglia bianca diventata arancione. Si ride, ma per chi ha poco è importante. E anche questo diventa vita insieme».

Giuseppe in cucina prepara il pranzo insieme a una volontaria

Non tutti riescono a fidarsi, almeno subito. Alcuni sono qui da quindici anni. «Ma anche se scappano, tornano», dice Duilio. «Perché la relazione è vera». È un lavoro lento: «Chi vive in strada non perde solo casa e lavoro, perde relazioni. Noi ricominciamo da quelle». Elena, l’unica donna ospite oggi, è entrata e uscita dalla Capanna molte volte: una vita complessa, fasi luminose e fasi buie. Adesso è centro di gravità permanente della casa e ha iniziato a stirare in una casa famiglia della zona: «Mi fa sentire utile», dice. «Qui non ti giudichiamo, ti aspettiamo», chiosa Duilio. La Capanna è anche questo: una fraternità fragile e potente, dove la povertà non è statistica ma nome proprio. «La povertà vera l’abbiamo imparata da loro», dice Lodovica. «La loro sopravvivenza è la nostra profezia».

In tutta Italia la Papa Giovanni XXIII segue migliaia di persone che non potrebbero farcela da sole: oltre il 50% degli accolti rimane affidato alla comunità vita natural durante. «È un impegno immenso, ma è il senso dell’opera». A Montodine oggi vivono in dieci: nove uomini e una donna. Hanno tra i vent’anni e i settantaquattro. In salotto c’è una torta preparata per il compleanno di Davide, 31 anni: candeline, canzoni stonate e battute. Una scena semplice, domestica, normale, ma che normale non è per chi ha passato anni tra sofferenze e solitudine.

Anche per questo, la storia della Capanna di Montodine è forse il modo migliore per raccontare il “Natale di Valore” di Famiglia Cristiana: racconti che mostrano da dove arrivano le risorse messe a disposizione dalle dodici aziende coinvolte quest’anno nell’iniziativa (Autostrade per l’Italia, Edison, Enel, Esselunga, Generali Italia, Intesa Sanpaolo, Poste Italiane, Snam, Terna, BPER Banca, Coop e Mulino Caputo) e delle quali raccontiamo il loro impegno di responsabilità sociale sul numero in edicola questa settimana e sul nostro sito.

La tavolata comunitaria

Usciti dalla Capanna, il sole si abbassa dietro l’oratorio. Giuseppe e Laurentiu sistemano le cassette del cibo, Davide scherza con un volontario. È così che ricomincia una vita: da un posto che non giudica e da qualcuno che ti aspetta o torna a cercarti. «Vale sempre esserci per loro», dice Duilio. «Perché qui la speranza non è un’idea. È una porta che si apre».

I 12 RACCONTI DEL “NATALE DI VALORE” di Famiglia Cristiana

Enel per il sociale, fare squadra per non lasciare indietro nessuno

Esselunga, quando il cacao non è solo questione di gusto

Mulino Caputo, dove responsabilità, arte e gusto si incontrano

I progetti di Edison e Fondazione Eos per i giovani dei quartieri più fragili di Palermo

Fondazione Generali e i progetti per formare i migranti come caregiver

Poste, un’attività senza emigrare? Un sogno possibile

L’impegno dei lavoratori di Autostrade per l’Italia per iniziative di solidarietà

Fondazione Snam, dare sostegno alle comunità facendo rete

BPER Banca, con il crowdfunding possiamo aiutare il domani della società

Terna, lo sviluppo passa dalla cura per le persone

Coop, non solo cibo, ma relazioni

Intesa Sanpaolo e il sostegno al lavoro che “apre” le carceri e regala un futuro