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Dopo un lungo periodo di immobilità, ieri, 24 gennaio, il decreto legge n. 2128 – che prevede il riconoscimento giuridico dei caregiver familiari italiani e la loro tutela a livello previdenziale, sanitario ed assicurativo – ha ripreso il suo iter in Commissione Lavoro al Senato.
Dal resoconto sommario della riunione, pubblicato su senato.it, si evince che i presupposti per fare un buon lavoro vi sono tutti. Il presidente Sacconi da parte sua ha segnalato «la necessità di procedere ad audizioni per gli opportuni approfondimenti in una materia delicata che coinvolge direttamente la vita di tanti nuclei familiari», proponendo di «interloquire con una platea ampia e articolata di associazioni ed esperti facendo ricorso alla piattaforma interattiva recentemente realizzata dagli uffici, proprio su richiesta della Commissione Lavoro».
«Un passo importantissimo», per Maria Simona Bellini, presidente del Coordinamento Nazionale Famiglie Disabili, «che è stato possibile grazie alla partecipazione collettiva della società civile alla nostra campagna #unaleggesubito». A partire dal 3 dicembre scorso, infatti, i caregiver familiari, attraverso il Coordinamento Nazionale si erano fatti sentire: un hashtag, tre parole, le foto sui social, dati scientifici alla mano. In pochi giorni la campagna #unaleggesubito, nata per sollecitare la calendarizzazione del ddl n. 2128, si era diffusa sui media nazionali.


La storia di questo decreto parte da lontano: «Siamo nei primi anni ‘90 e il “Club della Letizia” lancia una prima proposta di disegno di legge che prevedeva il prepensionamento per le persone che avevano bisogno di assistere i propri cari», spiega ancora Bellini, «e l’iter è poi proseguito giungendo all’approvazione unanime alla Camera dei Deputati nel 2010». Tutto sembra filare liscio, ma nel 2013 ecco uno stop inaspettato: il decreto si è arenato in Commissione Bilancio al Senato e non è più stato rimesso in discussione.
Ma perché questo decreto è così importante? «Purtroppo nel nostro Paese la disabilità è ancora trattata come un business», spiega Bellini, «mentre si ignora, forse perché i caregiver non hanno tempo di scendere in piazza, l’esistenza di una realtà enorme fatta di persone che con amore si prendono quotidianamente cura dei propri cari disabili o ammalati, sostituendosi di fatto allo Stato nel welfare. E questa azione d’amore non è sostenuta da politiche adeguate. L’Italia è l’unico Paese in Europa a non aver ancora legiferato in merito. Certo, c’è la legge sul “Dopo di noi”, ma prende in considerazione la persona disabile soltanto dopo la morte della famiglia per collocarla in una struttura che riproduce l’ambiente familiare anche se, di fatto, familiare non è», conclude.
I dati parlano chiaro. Gli studi clinici condotti da Elizabeth Blackburn, Premio Nobel per la Medicina nel 2009, spiegano che lo stress psicologico cronico, al quale i caregiver familiari (e in particolare le donne caregiver) sono sottoposti, induce un logoramento dei telomeri (sono delle protezioni per i cromosomi, con un ruolo, non del tutto compreso, sulla durata della vita delle cellule) e «un aumento degli indici di cattiva salute, tra cui i fattori di rischio per malattie cardiovascolari e la funzione immunitaria povera» (Fonte: 17312-17315 PNAS, 7 dicembre 2004, vol. 101, n. 49). Ciò si traduce in un’aspettativa media di vita per i caregiver familiari inferiore dai 9 ai 17 anni rispetto alla media della popolazione. Il che, sommato all’innalzamento dell’età pensionabile, la dice lunga sulla difficoltà dei caregiver nel vivere spazi di dignità umana.
«Ora si tratta di fare una buona legge e di farla velocemente», incalza, infine, Bellini: perché decine di migliaia di caregiver italiani, davvero, non possono permettersi di aspettare ancora.



