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E anche quest’anno, coi panettoni e i trasporti a prezzi triplicati, le prime settimane bianche e lo sperpero di regali, tornano le polemiche sul presepe. Chi lo sbandiera come arma di battaglia per deprecare un mondo sempre più dimentico delle proprie radici (è vero, ma le barricate non servono); chi pur non credendoci non perde occasione per irridere e provocare, con idee fintamente progressiste o addirittura oscene. San Giuseppe vestito da donna, Gesù bambino in manette o con la kefiah, o col volto cancellato, o patchwork, per rappresentare tutti i popoli della terra. Il presepe come manifesto politico o di ideologie gender e woke. Ora, il presepe si può non fare. Il muschio se ne sta lì fino alla Candelora e si secca, si impolvera, sporca. Non è obbligatorio, come non lo è festeggiare il Natale, tanto più quando è solo occasione di consumi e sdolcinato buonismo di facciata e di giornata. Per chi crede, il Natale è memoria dell’Incarnazione, ovvero di Dio fatto uomo, presente allora e oggi nella storia. Come scriveva Eliot con versi stupendi: «Un momento non fuori del tempo, in ciò che noi chiamiamo storia… Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c’è tempo e quel momento di tempo diede il significato». Da allora con Gesù tocca farci i conti per seguirlo, negarlo, o fingere che non sia, ed è questa la posizione più superficiale e irragionevole. Il presepe, per chi crede, è allora un segno, nelle chiese e nelle case, di un’attesa, di una preparazione accogliente alla presenza di Cristo, che viene, ma ogni giorno, basta riconoscerlo. E poi è un simbolo di gioia, serenità e pace, il messaggio degli angeli in gloria. È uno spazio favorevole alla preghiera, alla riflessione, che unisce, che sa di famiglia, di tradizioni belle e lontane, quando eravamo bambini e ogni statuina parlava, ogni luce era motivo di stupore. Non a caso i bambini continuano ad amare il presepe, a meravigliarsi davanti alle tante mostre di presepi nelle nostre città. Bisogna portarceli e raccontargli la storia più bella, dal sì di Maria ai Magi. Nel presepe ci stanno tutti, l’arrotino intento al suo lavoro e le donne al mercato, i distratti che giocano a carte in taverna, il dormiglione e il soldato, il ricco e il pastore e tutti gli animali, in armonia. Fa bene perfino un dinosauro appoggiato là, accanto alla pecora e l’asinello, nel mistero della creazione, quando il lupo e l’agnello pascolavano insieme. È un peccato disprezzare il presepe o ridurlo ad arredo festivo. Si può non fare, se non è segno di Cristo. Si può fare l’albero, dimenticando che anche il pino addobbato di luci è tradizione cristiana antica, dal freddo dei Paesi nordici, quando il missionario San Bonifacio lo propose come immagine della Trinità, della croce salvifica, della luce che illumina il buio dell’inverno e del male. Non è quindi un’alternativa laica al presepe e infatti stanno l’uno accanto all’altro, in amicizia, nel centro di Piazza San Pietro, centro della cristianità.
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