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ANSA/ANGELO CARCONI
Per Natale, il presidente della repubblica Mattarella ha “graziato” cinque condannati. Che cosa vuol dire la grazia, dopo che la giustizia li ha condannati “con regolare processo” a varie pene, parte delle quali già espiate, ma con abbuono del residuo? Che giustizia è quella che fa cessare il castigo, quando invece l’umore popolare è aizzato dai media a chiuder le celle e a gettare la chiave, perché trionfi “la certezza della pena”?
E invece la grazia è qualcosa che i Padri hanno messo nella Costituzione stessa (art. 87). Questo fa pensare a qualcosa che dev'essere grande, importante, essenziale, per far parte della nostra legge suprema. Far grazia è una prerogativa concessa solo alla massima autorità, dentro il villaggio umano di cui pure rappresenta l'unità, la nostra unità. È un atto di clemenza individuale, che viene su una specifica storia, su una specifica vita. Non cancella il passato, ma discerne il futuro. Una grazia si fa rimedio alle rigidità concrete d’un sistema punitivo non immune dai rischi di fallibilità, di sproporzione, di incomprensione, di bruta somiglianza ad una arancia meccanica.
La grazia è una valvola di umanità. Vien fatta non per rinnegare la colpa, non per umiliare la vittima, non per annientare il giudizio, non per arbitrio, ma per qualcosa che ancora è imparentato con la giustizia, con il bisogno di un suo “volto umano”.


E' un tema delicatissimo, si capisce. Chieder grazia ed averla è già da sè un evento raro, in cronaca; si affronta un percorso severo e serio, articolato dalla legge 241 del 2000. Mattarella è un presidente che pensa e agisce con rigorosa coscienza. In questo suo secondo mandato ha accolto 27 domande di grazia sulle 1500 circa richieste. Le cinque vicende di grazia di questo ultimo Natale ci propongono orizzonti di vita e di dolore che frenano la nostra voglia di giudicare gli altri, gli altri che altri hanno pur detto colpevoli. Storie che risvegliano in noi una pietà che chiede al Natale d'esser germoglio di speranza sulla vecchia radice cattiva d’un mondo appassito.
Un tempo, dall’unità d’Italia fino al 1999, il ministero di riferimento si chiamò “di grazia e giustizia”. Poi l’abbiamo chiamato solo “di giustizia”. Ma che programma di giustizia rimarrebbe se si perdesse il senso che far giustizia significa esattamente “aggiustare” invece che spianare macerie? E pensare a queste nostre rare grazie nelle cose terrestri, nel tempo che il Natale porta al mondo nello spirito un’onda infinita di speranza a guarire le infinite miserie che ci affliggono, che cosa ci invitano a scegliere, queste rare nostre grazie, se non fra un cuore di pietra o un cuore di carne?



