Un pranzo condiviso, lo scambio degli auguri, un clima di famiglia e di festa accompagnato dalle melodie del coro della Questura e capace di scaldare anche le storie più difficili. È questo il senso del pranzo solidale di Natale organizzato dalla Questura di Milano in collaborazione con la Fondazione Geronimo Stilton, Opera Cardinal Ferrari, “Farsi Prossimo” di Caritas Ambrosiana e Famiglia Cristiana, che si è svolto martedì nella storica Caserma Garibaldi, a due passi dalla Basilica di Sant’Ambrogio.

Seduti alla stessa tavola, clochard, anziani soli, famiglie con bambini, persone segnate da povertà materiali e fragilità personali, accolte non come “utenti” ma come ospiti. A fare gli onori di casa il questore di Milano, Bruno Megale, che ha pranzato le persone accolte e ricordato il senso più autentico dell’iniziativa, giunta quest’anno alla quarta edizione: «La missione della Polizia di Stato è stare in mezzo alla gente, soprattutto vicino a chi soffre. Questo pranzo è una piccola cosa, ma può rendere il Natale un po’ più gradevole a chi vive momenti difficili».

Alcuni ospiti durante il pranzo

Le storie degli ospiti

Seduti alla stessa tavola, clochard, anziani soli, famiglie con bambini, persone segnate da povertà materiali e fragilità personali, accolte non come “utenti” ma come ospiti. A fare gli onori di casa il questore di Milano, Bruno Megale, che ha ricordato il senso più autentico dell’iniziativa: «La missione della Polizia di Stato è stare in mezzo alla gente, soprattutto vicino a chi soffre. Questo pranzo è una piccola cosa, ma può rendere il Natale un po’ più gradevole a chi vive momenti difficili».

Un’iniziativa resa possibile grazie, appunto, alla collaborazione con “Farsi Prossimo” di Caritas Ambrosiana e con l’Opera Cardinal Ferrari, realtà che ogni giorno incrociano storie di povertà e fragilità della città. E grazie anche alla presenza di Geronimo Stilton, arrivato insieme alla sua creatrice Elisabetta Dami, che con discrezione ha portato leggerezza e sorrisi, soprattutto ai più piccoli.

Tra i tavoli si intrecciano vite diverse, provenienze lontane, ferite ancora aperte. Ahmed Serag, egiziano, vive in Italia dal 1991. Ha 65 anni e racconta una vita di lavoro e sacrifici, interrotta da difficoltà che oggi lo hanno portato a chiedere aiuto. Accanto a lui c’è Patricia, 56 anni, nata in Brasile e in Italia dai primi anni Novanta: «Questo Natale è triste», confida, «a giugno è morta mia madre. Ma oggi non sono sola: ci sono i compagni del mio centro diurno». Un luogo che per lei è diventato spazio di cura e di rinascita: «Sto facendo un percorso di reinserimento lavorativo. Prima ho avuto problemi con la giustizia, ora sto ripartendo».

All’Opera Cardinal Ferrari, raccontano i volontari, ogni storia è diversa, ma tutte hanno bisogno di tempo e di accompagnamento. «Nel centro diurno seguiamo 13 persone in modo stabile», spiega Nicoletta Mereni, volontaria dal 2017, «il centro è aperto dalle 8.30 alle 17.30: offriamo colazione, pranzo, servizi di base come parrucchiere e medico, ma anche laboratori creativi. Quello che è cambiato negli anni è il numero di persone che bussano da noi che è raddoppiato: nel 2017, quando ho cominciato, avevamo 60-70 persone a colazione e oggi arriviamo a 120 mentre siamo passati da 100 a 220 per il pranzo».

Nella città del cemento selvaggio e degli eventi di, design, moda, digital, book, pet, cartoon e strip, beauty, supercar, runner e biker, nella città che si prepara alle Olimpiadi invernali del 2026, è cambiato anche il volto della povertà: «Ci sono persone separate, uomini e donne che non hanno maturato una pensione e hanno perso il lavoro. E poi ci sono quelli che sono poveri davvero, senza nulla», continua Mereni. Numeri che raccontano una città ferita, ma anche una rete che prova a non lasciare indietro nessuno. Patricia, arrivata a Milano due anni fa dalla Costa d’Avorio, questo è il primo pranzo solidale. Lavora nel settore delle pulizie e sorride: «Mi piace molto questo pranzo. Natale per me è una bella festa». Nel tavolo accanto al suo Safiatou Aissata, anche lei ivoriana, con i suoi due bambini: per loro questo pranzo è soprattutto un momento di serenità condivisa.

Un ospite tra due poliziotti

Per Tatiana, ucraina, da 42 anni in Italia dove fa la psicologa e insegnante di yoga, è la prima volta che partecipa al pranzo della Questura e il pensiero va al suo paese dove la pace, nonostante i colloqui diplomatici, è ancora lontana: «Sarà il terzo Natale di guerra», racconta, «viviamo nella paura e nell’incertezza costanti». La voce si incrina quando ricorda che una settimana fauna bomba è caduta nella casa dove aveva vissuto, a 12 chilometri di distanza da Kyev: «Sapere che lì non c’è più casa, mentre io sono qui, è dura».

Tra i tavoli ad accogliere gli ospiti e chiacchierare con loro ci sono le donne e gli uomini della Polizia di Stato e don Gianluca Bernardini, il cappellano della Questura. Alla fine del pranzo restano i saluti, gli auguri, i regali offerti gli ospiti, alcuni gadget di Geronimo Stilton e il panettone. Ma soprattutto resta l’idea che la Caserma Garibaldi sia diventata una casa. Un luogo dove il Natale non è una parola astratta, ma un gesto concreto di condivisione e solidarietà com’è il sedersi accanto all’altro. In una città che corre veloce, questo pranzo racconta un’altra Milano: quella che sceglie di fermarsi, ascoltare e condividere. Anche, e soprattutto, a Natale.