Ricorrono oggi i 150 anni dalla morte di Charles Dickens, quello che può essere considerato il più grande romanziere della lunga età vittoriana. Nato a Portsmouth il 7 febbraio 181, morì il 9 giugno 1870. Abbiamo chiesto un suop ricordo a Ilaria Mattioni, docente di Storia dell’educazione e della letteratura per ragazzi all'Università di Torino,e grande conoscitrice dell'opera e della vita di Dickens. "Dickens domandò che alla sua morte non venissero innalzate statue in suo ricordo", spiega la docente, "e, per la verità, chiese anche – inascoltato – di non essere sepolto nel Poets’ Corner, situato nel transetto sud della Westminster Abbey di Londra, ma nel piccolo cimitero di Rochester. Pregò anche uno dei suoi più cari amici, John Forster, affinché sulla lapide il suo nome non fosse accompagnato dai termini “Signore” o “Egregio”. Tutta questa ricerca di riserbo sembra essere in forte contrasto con il suo amore per le letture pubbliche, che lo portarono a girare non solo l’Inghilterra, ma anche gli Stati Uniti, dove venne idolatrato come una vera star. Eppure se si esaminano le opere di Dickens, ma anche la sua vita, risulta evidente come al centro dei suoi romanzi vi siano gli strati più umili e poveri della popolazione o, meglio, la denuncia sociale della situazione in cui versavano le classi indigenti". Non si può comprendere questa attenzione se non facendo riferimento alla biografia di Dickens, in particolare alla sua infanzia. La famiglia, appartenente alla buona borghesia inglese, si trovò presto in cattive acque a causa degli investimenti avventati del padre e costretta a trasferirsi a Camden Town, allora uno dei quartieri più poveri di Londra. "Qui, l’inconsapevole Dickens, avrebbe incontrato quelli che sarebbero diventati alcuni dei protagonisti delle sue future opere", continu Mattioni. "Il piccolo Charles, proprio in conseguenza del rovescio finanziario del padre, si trovò a lavorare – lui bambino cresciuto in una famiglia borghese – in una fabbrica di lucido da scarpe, costretto per tutto il giorno a incollare etichette sulle scatole della Warren’s Blacking Warehouse in un ambiente malsano in cui i bambini venivano maltrattati o si bullizzavano a vicenda. Per Dickens è un trauma, di cui cercherà di liberarsi parecchi anni dopo, creando il personaggio di Oliver Twist, per certi aspetti suo alter ego. Proprio in Oliver Twist, ma pensiamo anche allo strozzino Ebenizer Scrooge e al suo dipendente Bob Cratchit in Canto di Natale, emerge chiaramente la denuncia dello sfruttamento cui erano sottoposte le classi inferiori da parte dei ceti dirigenti e il criminale utilizzo dei bambini all’interno delle fabbriche. In Inghilterra il sistema assistenziale ai tempi di Dickens era regolato dalla New Poor Law che aveva istituito delle Case di lavoro in cui potevano essere impiegati i disoccupati, fossero essi uomini, donne e bambini, fornendo loro anche un alloggio. Il perbenismo vittoriano si lavava così la coscienza. In realtà le Workhouses erano luoghi infetti in cui le persone bisognose convivevano con criminali e con persone affette da malattie mentali". La popolarità ottenuta da Dickens gli permise di denunciare queste terribili situazioni senza che la sua carriera ne risentisse.
Ricordando i 150 anni dalla morte di Dickens potremmo chiederci qual è il suo lascito a noi, bambini, donne e uomini del 2020. Ovviamente i suoi romanzi, alcuni dei quali diventati classici ma che – in quanto tali – oggi si preferisce non far leggere ai ragazzi poiché considerati datati. "Nulla di più sbagliato", dcihara l'esperta di letteratura per ragazzi."Nessun romanzo può essere considerato datato se parla del genere umano e dei sentimenti, buoni o cattivi, che muovono le sue azioni. E in questo Dickens può essere considerato un maestro. Ma anche un’altra può essere l’eredità che il romanziere inglese ci consegna: una lezione di fratellanza e solidarietà. Quell’andare a cercare nei quartieri più difficili un’umanità che, magari, spaventa perché lontana dai nostri, a volte ottusi, punti di vista. Quell’affidarsi alla Divina Provvidenza come, di fronte all’estrema povertà e alla malattia, fanno la famiglia Cratchit e il piccolo Tim. Quel considerare i “puri di cuore”, non sprovveduti inadatti alla vita, ma il meglio della società, come Dickens fa descrivendo Tom Pinch nel romanzo Martin Chuzzlewit. Per cui, leggiamo Charles Dickens e facciamolo leggere ai nostri ragazzi. Ne usciremo migliori".