Salvini su Twitter prima dell'arrivo di Salvini a Trieste. Foto nell'articolo: Ansa
Un muro anti-migranti vicino a Trieste? «E’ grave anche solo il fatto che se ne parli. Come cristiani, ma prima di tutto come esseri umani, abbiamo il dovere di reagire. Certe affermazioni non vanno prese alla leggera. Lo dico alla luce della mia esperienza nei Balcani, come in tanti altri luoghi segnati dalla violenza». Parla don Renato Sacco, coordinatore nazionale del movimento Pax Christi. Il riferimento è alla proposta, lanciata giorni fa dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, di costruire una barriera lungo i 232 chilometri di confine che separano il Friuli-Venezia Giulia dalla Slovenia. Filo spinato e pannelli di cemento per bloccare l’ingresso in Italia dei migranti che percorrono la rotta balcanica. Un’idea che ha immediatamente ricevuto il plauso del Presidente della Regione, il governatore leghista Massimiliano Fedriga. «Ma questa non è la mia Italia» commenta don Sacco. «La mia Italia, quella in cui mi riconosco, è un’altra: è il Paese che ha lavorato in prima linea per ricostruire il ponte di Mostar, in Bosnia, un simbolo di unione che la guerra aveva distrutto».
«Sono allibito e preoccupato» osserva il sacerdote. «Progettiamo di tirare su un muro per fermare i “poveri cristi” in fuga da Paesi che magari in passato abbiamo bombardato, come l’Iraq, o a cui abbiamo venduto armi. E dimentichiamo che in Friuli-Venezia Giulia è presente la base americana di Aviano, dove sono stoccati decine di ordigni nucleari. Quelli sì che dovrebbero farci paura».
La zona interessata dalla proposta del muro, un fazzoletto di terra rocciosa tra i boschi del Carso, ha una storia incancellabile. Storia di guerra, di trincee, di una generazione mandata al massacro, di muri e fili spinati. «Basterebbe fermarsi un istante, basterebbe ascoltare quella terra, già così intrisa di sangue e di dolore» fa notare don Sacco. E se il passato è fonte di interrogativi, il presente è forse ancora più inquietante. Pensando a barriere anti-migranti, viene in mente, tra gli altri, il muro eretto dall’Ungheria sul confine meridionale con la Serbia, proprio quel muro recentemente lodato da Salvini durante una sua visita in terra magiara. «L’ostentata amicizia tra il nostro ministro dell’Interno e il premier ungherese Viktor Orbàn ci dice che stiamo passando dalle parole ai fatti» commenta don Sacco. «Non dimentichiamo le immagini, indicibili, arrivate dall’Ungheria in questi anni».
Don Renato Sacco
Ma c’è anche chi minimizza, sostenendo che la proposta del muro di Trieste si possa archiviare tra le tante boutade di un linguaggio politico sempre più abituato a parlare per paradossi. Anche su questo punto, il coordinatore di Pax Christi invita a stare in guardia. «Quando, all’inizio degli anni ‘90, il leader estremista serbo Radovan Karadžić faceva le sue sparate nazionaliste, molti faticavano a prenderlo sul serio. E la multiculturale Sarajevo, città universitaria e cosmopolita, pareva immune dal morbo dell’odio. Sappiamo com’è andata. Quindi stiamo attenti a considerarci superiori. Certi segnali non vanno guardati con sufficienza. Se anche il muro fisico non dovesse, alla fine, realizzarsi, il muro più pericoloso è quello che stiamo costruendo dentro di noi». Da qui l’appello a tutti, credenti e non, perché prendano una posizione chiara: «E’ ora di indignarci. Quando sento parlare di muri, mi viene in mente la lettera di San Paolo agli Efesini: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia”». Ma forse non è neppure necessario scomodare la parola di Dio: «Ci basterebbe restare umani».