Il giornalismo piange la scomparsa di Mimmo Cándito, giornalista scrittore, docente universitario. Cándito è morto a 77 anni dopo aver perso la battaglia con il cancro, una malattia che lo aveva colpito nel 2005 e che lui non aveva avuto paura di raccontare in articoli, interviste e nel libro “55 vasche”, pubblicato da Rizzoli nel 2016.
Di origini calabresi, Cándito aveva cominciato la carriera giornalistica a Genova e nel 1970 era passato alla “Stampa”, dove come inviato speciale ha seguito tutti i principali conflitti internazionali, con memorabili reportage dal Medio Oriente, dall’Afghanistan, dal Sudamerica, dalla Spagna. Cándito è stato anche presidente della sezione italiana di Reporters sans Frontières, docente di linguaggio giornalistico, direttore della rivista letteraria “L’Indice” e conduttore del programma radiofonico della Rai Radio3 Mondo.
Mimmo Cándito lascia la moglie Marinella Venegoni, anche lei giornalista. I funerali si svolgeranno martedì.
Uomo colto, di gran garbo (era gentilissimo nei colloqui radiofonici con gli ascoltatori del programma Prima Pagina), sempre attento al lato umano delle vicende che raccontava, Cándito amava ricordare “il più importante premio giornalistico che io abbia avuto”. “Lo ricevetti”, scrive in “55 vasche” un giorno ch’ero appena tornato da qualche guerra ed ero passato al giornale a ritirare la posta arretrata di tutti quei giorni: tra le buste e i messaggi d’ogni tipo, c’era un grosso plico giallo; lo aprii subito, curioso, vidi un messaggio a penna, e un libro.
La lettera, firmata da una signora di cui non ricordo il nome, diceva qualcosa come: ‘La prego di accettare in dono questo libro. Da ciò che lei scrive, lei non è credente; ma quello che lei scrive ha una ricchezza di umanità e un sentimento profondo del bene che lo rendono prezioso. Legga questo libro, sono certa che comunque l’aiuterà’. Aprii la busta, il volume era il Vangelo. Mi sentii orgoglioso come forse non mai nella mia vita”.