Alberto Pellai, 56 anni
Sessantanove interminabili giorni. Ecco quanto è durato il lockdown annunciato il 9 marzo dal premier Giuseppe Conte e confermato da un decreto il giorno successivo. 69 giorni in cui le famiglie, a causa del Coronavirus, hanno dovuto stravolgere le loro vite. Da questa esperienza inedita e sconvolgente è nato Mentre la tempesta colpiva forte (edito da De Agostini) il nuovo libro di Alberto Pellai che racconta come ci siamo dovuti piegare, senza spezzarci e come talvolta ne siamo usciti anche fortificati.
Il Covid è stato una vera tempesta che ci ha travolto per mesi...
«Forse solo in un film avremmo potuto immaginare una cosa del genere. I due aspetti che ci hanno fortemente sfidato e messo nei pasticci sono stati la potenza e l'intensità delle trasformazioni che ci venivano richieste nelle nostre vite - dalla sveglia all'addormentamento - oltre che la velocità di queste trasformazioni. In un click ci siamo ritrovati in un altro stile di progettazione delle vite. Per alcune famiglia poi si è aggiunta la sfida della malattia, dell'isolamento dei genitori rispetto ai figli e del lutto»
Lei suggerisce di non dimenticare nulla. Come si fa tesoro di un'esperienza così straordinaria?
«In termini psicologici dimenticare vorrebbe dire negare o rimuovere, ma in realtà è il nostro cervello che non dimentica niente. Stiamo facendo finta di non ricordare. L'operazione intelligente che sostiene il funzionamento della nostra mente è tenere una memoria sana e attraversare il ricordo senza restare incastrati nel dolore e nella fatica, ma alla luce di quel che è successo provare a dire “cos'ho imparato” e cosa mi serve per andare avanti. Cosa ho imparato e cosa mi serve è quel che ci permette di rimanere alla guida della zattera anche nella tempesta»
La copertina del suo libro uscito l'8 settembre
Dolore, rielaborazione ed evoluzione sono le parole chiave del libro
«È il messaggio con cui si apre il libro. Nessun avrebbe voluto e scelto quel che è successo. Cosa significa essere stati colpiti e non esserci rotti? Sono le tre parole della resilienza: ci sono aspetti della vita che non possono essere evitati. Allora ci deformiamo, ma poi torniamo a riprendere la nostra vita in mano. Perché quel che non ti spezza ti fortifica. Noi umani ci siamo sempre evoluti quando non eravamo nella comfort zone. Costruendo una versione nuova, complessa ed evoluta di noi stessi».
Cos'hanno imparato le famiglie nelle convivenza forzata?
«Le famiglie fragili e vulnerabili lo sono diventate ancora di più. In situazione di stress devi mettere in gioco il meglio di te, se quel meglio non c'è la situazione non può che peggiorare. Se la famiglia, invece, aveva dei buoni prerequisiti ecco che sono successe molte cose: pure nelle fatiche e nel dover essere multitasking là dove c'erano fratelli e sorelle si è rinforzata la dimensione di fratellanza, la collaborazione nella coppia adulta, i padri sono stati presenti in maniera più intensa sia in quantità sia in qualità, si sono messi in gioco nel loro ruolo di padri e i figli si sono dimostrati all'altezza della sfida»
Cos'hanno imparato i genitori in questo tempo di emergenza?
«I genitori a diminuire l'iper-protezione verso i figli. Prima del Covid abbiamo cercato di costruire una vita per loro senza fatica e frustrazione, ma qui non era possibile. Li abbiamo presi per mano e portati dalla paura al coraggio. Cosa difficile per papà e mamma moderni e contemporanei; i genitori hanno messo a fuoco uno sguardo più attento sui figli: per esempio, si sono resi conto di come si fossero persi nell'iper- connessione. O hanno messo a fuoco meglio altre aree educative che non erano mai state attenzionate. Hanno buttato lo sguardo in aree inesplorate».
Come l'hanno vissuto i bambini?
«I piccolissimi sono quelli che forse hanno fatto meno fatica. Per loro quando ci sono papà e mamma vicini c'è tutto. Si sono presi una quantità di genitorialità che è difficile avere in un tempo normale. Pur aumentando i fenomeni di dipendenza e regressione, la vicinanza dei genitori ha dato loro dosi infinite di protezione e sicurezza che sono gli strumenti che ai bambini permettono poi di entrare nel mondo ed esplorarlo. Se la coppia genitoriale ha funzionato bene i bimbi hanno avuto la percezione netta di una famiglia - cornice dove sentirsi accolti e amati».
E i ragazzi?
«I più grandi hanno imparato a tollerare una frustrazione che non avrebbero mai accettato in altra situazione. Hanno attraversato un tempo faticoso che li ha anche molto annoiati, mentre prima le vite erano iperaffollate. Sono stati costretti, sazi di schermo e pc, a cercare altro: ed ecco allora figli che si sono messi a cucinare, suonare e cantare; le famiglie con più figli hanno visto sviluppare una dimensione di squadra tra fratelli. E poi, c'è stato l'esercizio del desiderio: deprivati di tutto hanno riscoperto quello che conta veramente arrivando a dire: “Mi manca la scuola” o “mi mancano gli amici”. Nella dimensione del desiderio hanno capito “cosa davvero conta per me”».
Lei dice che la mareggiata non ha lasciato dietro di sé solo detriti, ma anche un piccolo tesoro. Quale?
«Il libro è stato scritto con questo obiettivo: capire cosa questo tempo complesso lascia nelle nostre vite, nel rispetto assoluto di chi ha vissuto un lutto. Ma è vero che dentro una crisi c'è sempre un'opportunità e lo vedo da psicoterapeuta quando aiuto i miei pazienti, partendo da quella fatica, a capire cosa significa tornare a essere degni e adeguati alla propria vita. Chiedo alle persone di ritrovare le parti di sé più funzionali e funzionanti. Io lo ripeto in continuazione: noi saremo per sempre le famiglie del Covid. Sarà una narrazione collettiva di un mondo che per due mesi si è chiuso dentro casa... ma sarà una narrazione non solo di dolore, fatica e dislocazione. Ma anche di cose indimenticabili».
Un kit con dentro sei attrezzi!
«Le parole chiave: la verità, la responsabilità, il tempo ritrovato (mentre prima era sempre un tempo performativo tra palestra e catechismo, pieno di cose quasi non scelte, ci siamo trovati davanti un tempo sospeso e dilatato ci ha spostato dal “tempo per” al “tempo con” relazionale e molto più intimo, che ha messo dentro anche la pazienza un vero tesoro per chi cresce); l'essenziale, il passaggio dalla paura al coraggio e la solidarietà (perché questo è stato il più grande progetto di solidarietà collettiva degli ultimi 100 anni; dove anche noi, che non avevamo il problema o eravamo molto meno a rischio, abbiamo messi limiti e confini alle nostre vite per un bene collettivo)».
Ora è il momento forse più difficile. Dopo esserci chiusi nella tana, dobbiamo tornare alla vita. Che riparte a tutti gli effetti con le scuole... Che consiglio può dare ai genitori?
«Ci sono cinque parole chiave che servono a questo passaggio: uno, prevenzione e attenzione perché il Covid non ce lo possiamo dimenticare. Più gestiamo bene questo passaggio e più possiamo andare avanti con le nostre vite. Due, attenzione emotiva che per noi genitori vuol dire evitare di far sentire ai nostri figli che li stiamo mandando in guerra, ma tenere viva la bellezza si questa esperienza (che per i docenti deve essere “accoglienza emotiva”: quindi ok i dispositivi di protezione individuale, ma riprendiamo in mano il bandolo della matassa, offriamo a bambini e ragazzi una seconda casa dove accadono cose che a casa loro non accadono). Tre, collaborazione: parola che se rifletto sulle due settimane che hanno preceduto l'apertura delle scuola e penso ai genitori che sono andati a pulire e sistemare era impensabile prima. Ma la scuola ha sentito che da sola non ce la faceva. Ecco allora che è necessario trasformare in corresponsabilità (quarta parola), non in conflitti ma in alleanze il rapporto tra gli adulti di riferimento. Perché solo una “mente adulta comune” proteggerà i nostri figli. Cinque, stiamo calmi! Ho visto ansia e agitazione: ma la vita a rischio zero non esiste; esiste quella a “rischio calcolato” correlato all'inevitabile. Va generato un equilibrio dove noi adulti non dobbiamo essere spaventati sennò li spaventiamo e loro non capiscono più niente».
La gestione della scuola dell'infanzia in questo momento è particolarmente complessa. Maestre conciate come aliene, malanni frequenti al di là del Covid...
«È certamente una situazione difficilissima da gestire; da ottobre in avanti arriveranno raffreddori, tossi e influenze che in questa cornice saranno difficilissime da gestire... Non tanto da un punto di vista sanitario: lì c'è una procedura precisa e rigidissima. Penso piuttosto a un approccio di sano buon senso».
Anche perché il nido e la materna restano esperienze insostituibili...
«Assolutamente sì, sono un sostegno alla crescita indispensabile soprattutto alla scuola dell'infanzia. Un bisogno fondamentale del bambino. Ha fatto bene la Francia a rendere la scuola dell'infanzia obbligatoria. Il nido è meno fondamentale, ma dove la famiglia ha bisogno non c'è nessun'altra risorsa altrettanto adeguata come il nido».
Infine, come si torna dai nonni dopo la scuola?
«Avendo chiarito bene all'interno della famiglia allargata quali sono le scelte che facciamo. Ho sentito nonni vulnerabili che hanno deciso di rinunciare a vedere i nipoti le prime settimane per capire come va; altri che considerano di vitale importanza stare con loro. Allora, ci si laverà le mani e si valuterà se far tenere distanziamento e mascherina. Rimane valido che, se nella scuola non ci sono casi di contagio, il ritorno dai nonni può essere quello di sempre. Certo ci vorrà un occhio di attenzione se i nonni sono particolarmente avanti con l'età o hanno una salute incerta. Ogni famiglia troverà le sue regole».