Per Alfie Evans, quasi due anni, ricoverato all’Ospedale Alder Hay di Liverpool, le ore sono contate. Al momento è fallitto il tentativo dei genitori di trasferire il loro bambino in un luogo di cura all'estero pronto ad accoglierlo. Le trattative sono in corso e la polizia, dentro e fuori l'ospedale inglese, difende la decisione di Anthony Paul Hayden, un giudice dell’Alta Corte di Londra, di porre fine alla vita di Alfie, ritenuta “futile”, “inutile” a causa della grave malattia che ha colpito il suo sistema nervoso. Rende ancor più impressionante la vicenda giudiziaria il fatto che ciò sia potuto accadere ignorando completamente il ruolo dei genitori Kate e Evans che insieme all’ “esercito di Alfie” hanno gridato che non esistono vite da scarto.
È vero che le questioni di fine vita sono complesse e delicate, è vero che per capire cosa fare e cosa non fare bisogna stare al “letto del paziente” e ci vogliono delle competenze specialistiche per valutare la situazione clinica, ma non vi è dubbio che in questa vicenda lo spettro dell’eutanasia incombe. Se è vero che non tutto è eutanasia, è anche vero che la mentalità eutanasica può infiltrarsi dappertutto. Se ne riconosce il segno laddove la vita umana colpita dalla malattia inguaribile o dalla gravissima disabilità è ritenuta, appunto, “futile”, “inutile” e via discorrendo con aggettivi che minimizzano o negano la dignità, la piena umanità, cioè il valore.
Nel caso di Alfie dal punto di vista giuridico si è manifestata una deriva statalista, tanto sovversiva quanto conturbante, poiché al potere giudiziario è stata affidata la decisione sulla vita o sulla morte dei cittadini fino a spogliare i genitori del diritto/dovere di mantenere e far crescere i figli. Eppure, l’articolo 6 della Convenzione sui diritti dell’infanzia, afferma che “Gli Stati riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto inerente alla vita e che gli Stati assicurano nella misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo”. È evidente che dietro lo spossessamento dei poteri genitoriali vi è il tentativo di affermare l’eutanasia per via giudiziaria oltre ogni limite.
Nonostante ciò, la storia del piccolo Alfie sta sprigionando significativi effetti positivi nella riflessione sull’accoglienza della vita umana anche prima della nascita. Basti pensare che l’universale commossa ammirazione per i suoi genitori ha permesso di riflettere sul legame genitoriale orientato all’accoglienza dei figli e apre un varco per recuperare un senso di umanità verso l’accoglienza della vita nascente. Quanti genitori, soprattutto madri, hanno preferito coraggiosamente far nascere il loro figlio, nonostante le pressioni dell’ambiente circostante indicassero l’aborto come soluzione per un figlio ritenuto malformato! Alfie dalla sua cullina sta scuotendo le fondamenta della società e ci dice che essa potrà essere davvero civile solo se nessuna vita umana è considerata “futile” o inutile”.