Michele C. aveva dieci anni. A ogni visita il giovane specializzando gli portava un pezzo di Lego per il castello che stava costruendo lì, in ospedale. «Ma quel giorno fu lui a darmi un mattoncino: “Adesso lo finisci tu”, mi disse. Aveva capito che era arrivata la fine». Sono passati 30 anni, e Andrea Campana ricorda ancora il nome di quel bambino. E di quelli che lo hanno accompagnato nei momenti più intensi del suo lavoro. Campana è il responsabile del reparto Covid del Bambin Gesù, che ha sede a Palidoro e serve l’intera Regione Lazio. Ha 52 anni e nella sua vita ha visto migliaia di piccoli bisognosi di cure. Alcuni ha avuto la gioia di aiutarli a nascere in situazioni disperate, altri li ha dovuti accompagnare a fare l’ultimo passo.
Ha percepito sotto una luce diversa la professione che aveva sempre sognato quando, giovane medico, ha lavorato in neonatologia. «Come pediatra curi i bambini, in sala parto li fai nascere a 25 settimane e li rianimi. Senti che stai salvando una vita, accade tutti i giorni. Ma vedi anche tanti bambini morire. E quelli li porti con te». Bresciano, figlio di due insegnanti, che lo hanno sempre sostenuto in ogni sua scelta, Andrea sin dall’infanzia sa che da grande sarà un pediatra. Non viene da una famiglia di medici, ma è cresciuto con il mito di colui che gli ha salvato la vita appena nato. «A due mesi mi avevano dato per morto, a causa di un malassorbimento intestinale. Il primario di Parma mi ha tenuto ricoverato due mesi e mezzo. Dal dottore Imperato, così si chiamava, è nato tutto. E non mi sono mai pentito: se la fai per vocazione, è la professione più bella che si possa immaginare».
Da Brescia a Roma
Il passaggio da Brescia all’ospedale del Papa non è solo uno spostamento geografico. I medici, dice, imparano da quello che studiano, ma soprattutto da altre due cose: «La prima è il numero di bambini che vediamo, e la casistica del Bambin Gesù credo sia unica al mondo. Un anno qui equivale a 5-6 anni altrove. L’altra cosa che fa la differenza è la capacità di approcciarsi al paziente. Questo ospedale ci permette di essere noi stessi, di occuparci a 360 gradi dei bambini». Il fatto che sia del Papa, aggiunge, «l’ho realizzato pienamente quando ho visto che il Papa effettivamente viene qui, a trovare i bambini».
Giovanni Paolo II Andrea lo vide, appena trasferito a Roma, da lontano, da un terrazzino. Benedetto a un metro e mezzo di distanza, oltre la transenna. Francesco lo ha invece ricevuto in reparto. «È venuto qua, ha visto i nostri bambini da vicino. Non si può descrivere cosa abbia significato per me, la mia famiglia, raccontare al Papa quello che facciamo tutto il giorno». Campana ha un figlio quindicenne, Robert, nato da un precedente matrimonio; e due bambine, Giulia Maddalena e Frida, 7 e 4 anni, avute con Francesca, medico del Bambin Gesù. Lavorano nello stesso ospedale ma si sono incontrati durante una missione all’estero. «Sono stato tante volte in Africa. Ho incontrato persone eccezionali, come suor Incoronata che a Itigi, in Tanzania, ha creato un centro di eccellenza che tratta tutte le problematiche pediatriche. Quell’anno ci arrivavo devastato dalla fine del matrimonio. Ero in missione umanitaria ma, a differenze delle altre volte, non sentivo di fare qualcosa per gli altri, piuttosto per me».
In quell’occasione incrocia Francesca. «Eravamo tutt’e due innamorati del nostro servizio lì. Dall’Africa è nata una simbiosi che sta andando avanti. A casa parliamo poco di lavoro e ci godiamo le nostre bambine». La prima è stata subita vaccinata, per la seconda Andrea attende con impazienza il via libera di Ema e Aifa per i vaccini anche sotto i 5 anni. Di giorno in giorno il suo reparto si riempie infatti di pazienti sempre più piccoli. Le camere attrezzate per l’isolamento dei bambini accumulano disegni e bigliettini, come la cappella, in questo periodo in disuso causa pandemia. Oltre a queste palazzine basse davanti alla spiaggia, a Palidoro, dove gli spazi si allargano e si restringono a secondo della necessità cercando di non penalizzare gli altri servizi, un’altra area Covid è stata aperta nella sede di Roma. «Man mano che gli adulti si vaccinano, il virus attacca i non vaccinati. I no vax, che sono relativamente pochi, e i bambini».
Ai genitori refrattari perché il vaccino non sarebbe sufficientemente testato Campana obietta che «quello della pertosse lo hanno sperimentato su 3 mila bambini prima di lanciarlo; questo Covid, solo negli Usa, è stato somministrato oramai a quasi 9 milioni di bambini… è un vaccino super sperimentato». Ma cosa dire a chi teme gli effetti a distanza? «Per vederli dovremmo aspettare 5-6 anni. Pensiamo davvero di attendere tanto prima di vaccinare i nostri figli? Il vaccino funziona perché previene. Lo facciamo perché questa malattia può essere grave. Nessuno sa se le prossime varianti saranno più o meno aggressive, ma sappiamo senza dubbio che colpiranno i bambini». Il punto, spiega, è che due terzi dei Paesi ha una soglia di vaccinati che non supera il 5 per cento e quindi «le varianti si moltiplicheranno lì, arriveranno da noi, e colpiranno i non vaccinati, cioè i più piccoli».
I bambini nel reparto Covid Il Covid
Il Covid non è una semplice influenza. Campana ha vissuto con trepidazione i lutti che hanno colpito la sua città natale quando è scoppiata la pandemia. «Ero tentato di tornare su, a dare una mano. Poi il 10 marzo ci hanno comunicato la nascita del reparto e dal 13 eravamo operativi». Dall’inizio della pandemia, racconta, «ho ricoverato quasi mille bambini, e di questi uno su 25-30 va in rianimazione. Adesso ho due neonati ricoverati, 4 in rianimazione… L’età media è sotto i 5 anni».
Di quelli che sono stati ricoverati e poi dimessi, 350 sono ancora seguiti in day hospital a causa di vari tipi di disturbi. «Nessuno ha avuto conseguenze cardiologiche o polmonari, sono invece molte le patologie neuropsichiatriche: sindrome da dolore cronico, fibromialgia, dolori addominali o scheletrici, tosse persistente, cefalea, disturbi della concentrazione, scarso rendimento scolastico.
E i più piccoli hanno avuto forti regressioni: non riescono a dormire da soli, hanno rimesso il pannolino, soffrono di crisi di pianto». Si tratta di quello che viene definito long Covid e sul quale, per il dottor Campana, non ci sono ancora studi sufficientemente attendibili. «Parlo di una sintomatologia complessa, che va dimensionata». Di certo, aggiunge, «se vedi il singolo soggetto capisci immediatamente il grado di sofferenza che rende difficoltoso il ritorno alla qualità di vita di cui godevano prima dell’infezione».
La forza della preghiera
Sono volti e storie che Andrea porta con sé. Materiale per la sua preghiera quotidiana: «Ho una mia religiosità molto forte. Prego al mattino pensando ai volti, alle persone, anche a quelle che non ci sono più». Tra coloro che lo hanno “formato” spiritualmente ricorda la nonna, Frida, terziaria francescana («Mi ha insegnato con gli atteggiamenti come comportarmi con gli altri, e su questi valori mi sono sempre confrontato con chi ho incontrato») e don Franco, l’insegnante di religione. E poi padre Rinaldo, missionario in Congo, bresciano, «che continua a dirsi mio padre spirituale».
Andrea ha una convinzione profonda: «Non è il percorso che fai ma le persone che incontri lungo il percorso che aiutano a formare la tua spiritualità. Ci sono frasi del Vangelo che ti toccano, ma poi devono essere tradotte in comportamenti nella quotidianità. Per me vuol dire essere disponibile verso le persone deboli, coloro che hanno bisogno. È il motivo per cui faccio il medico».
Medico dell'ospedale del Papa
Età 52 anni
Professione Medico pediatra
Fede A disposizione delle persone più deboli
Nato nel 1969 a Brescia, Andrea Campana è il responsabile dell’Unità operativa di pediatria multispecialistica del Bambin Gesù di Roma, l’«ospedale del Papa». Si occupa di tutte le patologie riguardanti l’età pediatrica, con particolare attenzione ai pazienti con disabilità e con patologie rare invalidanti. Dall’inizio della pandemia è responsabile del reparto Covid dell’ospedale pediatrico. Oltre al curriculum professionale, ha svolto numerose missioni di volontariato in Africa mettendo a disposizione la propria esperienza per supportare missionari e organizzazioni non governative nella cura dei più piccoli. Sposato con tre figli, vive a Roma.