«Il teatro è un luogo di cultura, riflessione, spiritualità e soprattutto libertà. Quello che stiamo facendo in questo tempo complicato riflette in maniera concreta la nostra posizione morale, spirituale, etica: dialogare con tutti, dare voce a chi non ne ha, valorizzare l’arte e riflettere, attraverso di essa, sul presente. Senza steccati».
Andrée Ruth Shammah è la fondatrice e direttrice del Teatro Franco Parenti, a Milano una vera e propria istituzione culturale. Ha voluto un ciclo di incontri sulla figura di Gesù che inizia domenica 24 novembre con la lectio di Enzo Bianchi (“Gesù e le donne”) e prosegue fino al 22 dicembre con Corrado Augias, Daniele Novara e Massimo Recalcati. Mercoledì sono stati presentati due nuovi progetti culturali insieme a Regione Lombardia: “Gli autori fuori porta: geografia e storia dei paesaggi lombardi” e il “Presepe vivente”.
Shammah, è un periodo di grande fermento.
«Sono molto soddisfatta di quello che stiamo facendo e che portiamo avanti con grossi sacrifici. Abbiamo dato voce ad Ashkan Khatibi, dissidente iraniano, drammaturgo, attore, musicista e produttore, che dopo l’assassinio di Mahsa Amini, si è distinto come una delle voci più vicine alle istanze popolari ostili alla Repubblica Islamica. Dopo essere stato arrestato e violentemente interrogato dall’intelligence iraniana, ha lasciato il suo paese, la famiglia e i suoi allievi. È arrivato in Italia e qui ha continuato la sua vita artistica. Un islamico moderato che denuncia con coraggio il regime iraniano. Chi come me dell’autore israeliano Roy Chen sull’esperienza di cinque ragazzi in un centro di riabilitazione mentale è diventato un successo con sold out tutte le sere ed è in scena dal 1° ottobre fino a Natale. Stiamo preparando con Andrea Chiodi uno spettacolo su Jacopone da Todi e l’iniziativa del Presepe vivente che vuole rilanciare e far conoscere il senso dei mestieri, l'artigianato come risposta anche all'intelligenza artificiale che va usata e non demonizzata, ma è chiaro che l'artigianato salva e valorizza l'uomo perché è mestiere certosino, di pazienza, cura dei dettagli. È in scena Il Misantropo di Moliere, un grande classico realizzato senza attualizzarlo per dire che è “moderno” perché un grande classico come questo spettacolo è ancora più moderno se lo lasci così com’è e lo sai fare bene».
Il tema della stagione di quest’anno è “E se tornassimo a parlare d’amore”.
«È il collante di tutto, dagli spettacoli agli incontri alle varie iniziative, ed è un dono che facciamo alla città di Milano per il presente e soprattutto per il futuro quando io non ci sarò più».
In questo momento storico la religione è utilizzata anche per farsi la guerra, soprattutto in Medio Oriente. Lei, ebrea, ha voluto un ciclo di incontri per riscoprire la figura di Gesù e la sua attualità. Perché?
«Io rivendico le radici giudaico-cristiane dell'Occidente, molto spesso dimenticate, e la forza dei valori che portano con sé. Da bambina ebrea ho frequentato una scuola cattolica in cui c'era il Crocefisso e per me non è mai stato un problema. Come spero che non offenda nessuno - ma purtroppo non sempre è così - se io tengo al collo una stella di David o se un uomo indossa la kippah. Quando c’è il rispetto delle differenze si può convivere e stringere un’alleanza con tutti. In passato la Chiesa accusava gli ebrei di deicidio, poi grazie a papa Wojtyla l’accusa è caduta e questo, per me, rende tutto più facile. Io, però, attraverso queste iniziative non sto parlando con la Chiesa ma con tutti quelli che hanno voglia, credenti o no, di riconoscere che in questi giorni serve un’alleanza tra religioni, culture, idee per non farsi travolgere dall’odio e dalla guerra. Quest’anno, poi, c’è una coincidenza di date che mi fa molto riflettere».
Quale?
«Hanukkah, la festa ebraica della luce, inizia il 25 dicembre, giorno di Natale. È impressionante, un segno importante in questo momento. Spero che attraverso la mia iniziativa su Gesù, nella quale ci saranno anche autori laici, passi la mia idea che Milano è una città che accoglie, apre, ragiona, riflette e che il teatro, per come lo concepisco, deve essere un luogo di libertà, un’oasi dove non si ha paura di riflettere anche sulla spiritualità».
Qualche giorno fa il gestore del cinema Orfeo si è rifiutato di proiettare il documentario su Liliana Segre non perché antisemita, ha detto, ma per paura delle contestazioni e di subire danneggiamenti. È preoccupata da questo clima?
«C’è un’ondata di antisemitismo a livello mondiale che è molto pericoloso. Non che prima non ci fosse, intendiamoci, ma oggi è più accentuato e preoccupante. Io però non mi sento di minimizzare questo e altri episodi ma non gli darei neanche un’eco così grande. La cosa triste non è tanto la paura di questo gestore ma che poi ci possa essere gente che va ad assaltare il cinema e spaccare le vetrine. Spero ci sia qualcuno che dica che queste persone che scendono in piazza per i palestinesi e la popolazione ferita di Gaza però poi, alla fin fine, stanno con i terroristi di Hamas e con il governo iraniano, che è il peggio che si può immaginare nella storia delle dittature».
Com'è da ebrea fare cultura a Milano dopo il 7 ottobre?
«Questa data è stato uno spartiacque, senza dubbio. La mia sofferenza è che quando è stata celebrata la Giornata internazionale contro la violenza delle donne si è parlato di tutte le vittime ma non delle donne israeliane che sono state violentate, torturate, con tanto di video che lo dimostrano, da Hamas. Ci sono delle battaglie, e questa lo è, che si fanno al di sopra e al di fuori di tutto. Purtroppo quando questo non accade, si fa un torto inutile ad alcune vittime. Lunedì al Franco Parenti in occasione della Giornata ci sarà un testo potentissimo scritto da Nicoletta Vernia e recitato da Marina Rocco che abbraccia tutte le donne vittime: quelle ucraine, quelle afghane che non possono più studiare e fare nulla, quelle israeliane. Tutte. Penso che Milano possa e debba essere un faro da questo punto di vista, un esempio».