«Lei lo sa che “banca etica” è un ossimoro, vero?». Anna Fasano non ha dimenticato l’ironia del controrelatore durante la discussione della sua tesi in Economia all’Università di Udine. Era il 2003 e Banca Etica (con le maiuscole) muoveva i primi passi. Chissà che direbbe oggi quel docente, scoprendo non solo che l’istituto ha chiuso il 2018 con un utile di oltre 3 milioni di euro, ma soprattutto che, a guidarla, dal maggio scorso, è proprio la sua ex studentessa. Fasano racconta tutto questo col sorriso sulle labbra, mentre accetta di buon grado l’intervista con Credere. Presidente, lei è nel consiglio di amministrazione di Banca Etica dal 2010. Nell’arco di 9 anni, mentre l’Italia si misurava con la crisi e la stretta del credito, Banca Etica ha fatto registrare performance invidiabili: una crescita del 112% e un aumento del numero di collaboratori pari al 72%. Com’è stato possibile?
«Essendo una banca giovane, solo 20 anni di storia, è più facile rispetto ad altri ottenere numeri del genere. Tuttavia, è un fatto che tutte le banche etiche si stanno dimostrando redditizie e, soprattutto, efficaci nel sostenere l’economia reale. Una direzione di impegno che spesso non rappresenta il cuore pulsante della finanza».
Non una “banca buona”, insomma, ma una banca che funziona...
«Banca Etica privilegia le attività che hanno un impatto sociale e ambientale positivo. Essendo una società cooperativa, il suo interesse è quello dei soci: dai grandi ai piccoli, tutti hanno la medesima voce in capitolo. Quello che Banca Etica sposa è un modello di economia sana, che ha un futuro, perché frutto di scelte di giustizia. A partire dal rispetto di una serie di criteri, come ad esempio l’equità nelle retribuzioni dei manager. Da noi (i dati sono del 2018) il rapporto fra chi ha la retribuzione più bassa e il manager più pagato è 1 a 3.17; da statuto non potrà superare il tetto del 6. Tanto per dire, Unicredit è al 17, Deutsche Bank a 74, il Banco Santander arriva al 148. E nessun tetto ai compensi più alti».
“Un’altra finanza è possibile” non è più solo uno slogan. Anche il mondo del profit se n’è accorto?
«Da tempo si registra una diffusa attenzione al tema della sostenibilità, anche nel profit: è un primo passo, importante, che va colto come tale. Fino a poco tempo fa, certi discorsi (sul green e non solo) non si facevano, nemmeno per ragioni di immagine. Va detto con chiarezza, però, che il rispetto dell’ambiente è solo una parte della questione: se un’impresa riduce le emissioni ma sfrutta i lavoratori, non è sostenibile. La sfida quindi è cambiare la cultura economica, in modo che pian piano ogni cittadino possa avere un soggetto finanziario di cui fidarsi».
Come opera Banca Etica in tale direzione?
«Cerchiamo di porci verso le aziende in maniera critica, per sollecitarle a cambiare. Siamo presenti in Eni ed Enel come azionariato critico. E alcuni risultati li abbiamo ottenuti: Generali, ad esempio, ha scelto di non assicurare più soggetti che puntavano su aziende estrattive».
Lei è la prima presidente donna di Banca Etica. Che valore ha, anche per la società civile e la comunità professionale italiana, una scelta del genere?
«La mia elezione è frutto di un cammino, non è un “incidente di percorso”: in Banca Etica si è scelto di dare spazio nei ruoli apicali a chi è coinvolto da tempo in questa esperienza. La capacità di fare squadra è uno dei tratti specifici del femminile e io mi sono messa a disposizione proprio perché ritengo indispensabile costruire alleanze e tenere insieme le varie sensibilità. La mia elezione ha avuto una certa eco: qualcuno ha commentato “troppo giovane per fare la presidente”, una frase che mai si sarebbero sognati di dire a un uomo. Non nascondo che il mondo finanziario è molto maschile. Tuttavia, sono convinta che occorra restare se stessi: per farmi ascoltare da un tavolo di 20 uomini non mi devo adeguare ai meccanismi maschili. È faticoso, ma apre la strada a scenari nuovi. Lo avverto come una responsabilità».
Da credente, pensa che la sua elezione parli anche alla Chiesa?
«Finché si parla di animazione e operatività, la presenza della donna nella Chiesa è dominante; ma quando ci si sposta su alcuni temi (quello economico, ad esempio), le cose cambiano. Un esempio? Oggi, a parte suor Alessandra Smerilli, non esistono donne ascoltate in quest’ambito. Purtroppo anche tanti nostri luminari fanno difficoltà a dialogare col mondo femminile. La Chiesa deve avere più coraggio: più spazio ai laici e, di conseguenza, alle donne».
Da buona friulana, lei è una persona schiva. Ci interessa, però, capire la sua storia e il percorso di fede che ha alle spalle.
«Vengo da una famiglia cattolica e sono cresciuta in un clima di impegno e servizio alla comunità, con la consapevolezza che da soli si fa poco. Anche oggi le mie radici affondano nel mio paese, Remanzacco, poco più di seimila abitanti, in provincia di Udine. Ho partecipato, come tanti giovani della mia generazione, alle esperienze di Taizé, alle Giornate mondiali della Gioventù e per vent’anni ho fatto la catechista ai cresimandi. Lungo il mio cammino, avendo lavorato per 8 anni come responsabile amministrativa per il Ce.V.I. (Centro volontariato internazionale, ong di ispirazione cristiana fondata nel 1984), ho seguito progetti in Africa, visitando Costa d’Avorio e Sierra Leone, collaborando con i missionari Saveriani».
Quale passo del Nuovo Testamento ha più caro?
«La prima lettera di san Paolo ai Corinzi, con l’inno alla carità».
C’è un “luogo dello Spirito” preferito?
«Abito in campagna. Quando ho bisogno di ritrovare equilibrio mi piace camminare nella natura. In verità, un luogo molto caro ce l’ho ed è Assisi: mi richiama tanti momenti importanti della mia vita, a partire dal crocifisso di san Damiano. Ma riesco ad andarci così di rado ormai…».
A novembre, proprio ad Assisi, lei parteciperà a The Economy of Francesco, un evento che si colloca nella scia della Laudato si’. Il mondo cattolico si sta lasciando interpellare dal Papa sui temi sociali?
«La Laudato si’ pone questioni cruciali per l’umanità: conciliare le scelte economiche con la tutela del creato e la difesa della dignità di tutti gli esseri umani. La nostra percezione è che l’enciclica abbia effettivamente risvegliato nelle istituzioni cattoliche il desiderio di mettere in discussione gli schemi seguiti fin qui quando si tratta di gestire le proprie finanze. Abbiamo già da tempo importanti collaborazioni con la Caritas, i Comboniani e altre realtà cattoliche impegnate, tra cui il Gruppo Abele e la Fondazione Interesse Uomo di Potenza, impegnata nella promozione di percorsi contro l’usura. Ma credo che oggi nessun ente religioso vorrebbe investire la propria liquidità in banche che fanno profitti con il business delle armi o con petrolio e carbone. In alcuni casi la procedura di riconversione degli investimenti potrà richiedere del tempo, ma credo che la macchina si sia ormai messa in moto e il processo sarà inarrestabile».