Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
martedì 08 ottobre 2024
 
l'esperta
 

Autismo: ma quanto contano papà e mamma?

02/04/2024  La neuropsichiatra Laura Villa, responsabile regionale Servizi riabilitativi Autismo della Nostra Famiglia spiega come i genitori, con la guida dei professionisti, imparino ad applicare nella ogni giorno strategie adatte per favorire la crescita del figlio

di Cristiana Trombetti

I genitori dei bambini con autismo vivono un forte senso di sofferenza e di disagio personale: mamma e papà devono fare fronte a difficoltà pratiche - come la gestione delle terapie, degli interventi riabilitativi e delle visite specialistiche - e difficoltà di carattere emotivo. D’altro canto, per i bambini con disturbo dello spettro autistico, la letteratura conferma che i trattamenti sono più efficaci quando coinvolgono i genitori e, in particolare, quando il trattamento è condotto dagli operatori dello staff e contemporaneamente i genitori sono formati in maniera continuativa sulle strategie di comportamento utili e coerenti con quelle dei terapisti che seguono il bambino: migliorare il benessere psicologico e la competenza educativa dei genitori consente una diminuzione delle problematiche comportamentali ed emotive dei figli.

«L’autismo è un disturbo del neurosviluppo che coinvolge principalmente il linguaggio, la comunicazione e l’interazione sociale. Ha una origine biologica, pertanto i bambini con autismo nascono con questo disturbo e i genitori non hanno alcuna responsabilità», spiega la neuropsichiatra Laura Villa, responsabile della struttura semplice dipartimentale Eugenio Medea a Bosisio Parini (Lecco) e responsabile regionale Servizi riabilitativi Autismo della Nostra Famiglia. «Si manifesta in genere nei primi anni di vita del bambino, quando le prime interazioni comunitarie richiedono maggiori competenze intersoggettive: con l’ingresso nelle strutture educative per l’infanzia, asilo nido e scuola dell’infanzia alcune atipie della interazione sono meglio identificabili», spiega la dottoressa Villa. «Generalmente i genitori sono i primi a rendersi conto delle difficoltà del loro bambino già dai 18 mesi. In casi molto lievi questo può accadere anche dopo i 24 mesi. Alcuni genitori ci riportano uno sviluppo apparentemente adeguato fino ai 18 mesi, seguito poi da un arresto e da una regressione di competenze già acquisite». L’evoluzione successiva del disturbo è condizionata dal livello funzionale, come anche descritto dal DSM 5, il manuale diagnostico a cui i clinici fanno riferimento, dove i livelli 1, 2 e 3 indicano livelli di severità crescente.
 

La neuropsichiatra Laura Villa
La neuropsichiatra Laura Villa

I primi campanelli di allarme

I primi segnali che destano attenzione e preoccupazione nei genitori solitamente sono problemi di comunicazione e di socializzazione. I bambini con disturbo dello spettro autistico manifestano anzitutto difficoltà nella comunicazione non verbale: non guardano negli occhi ed evitano lo sguardo, sembrano ignorare le espressioni facciali di mamma e papà e non sembrano in grado di utilizzare la mimica facciale e i gesti per comunicare, hanno scarso interesse per gli altri e per le loro attività; possono presentare comportamenti stereotipati, come un interesse eccessivo per alcuni oggetti o parti di oggetti, un eccessivo attaccamento a comportamenti di routine, la presenza di gesti sempre uguali e ripetuti delle mani e del corpo. Cosa deve fare quindi un genitore che sospetta che il figlio sia affetto da autismo? «Deve senz’altro rivolgersi con fiducia al proprio pediatra di riferimento in modo da verificare con lui la eventuale necessità di invio a un parere specialistico», chiarisce la dottoressa Villa, che spiega come la diagnosi sia clinica, ovvero basata sull'osservazione del bambino. «È tuttavia necessario procedere anche ad accertamenti strumentali per una accurata diagnosi differenziale con altre encefalopatie. È quindi opportuno affidarsi a strutture sanitarie specializzate e a una équipe multidisciplinare, composta da neuropsichiatra infantile, psicologo e logopedista, terapista della neuropsicomotricità».

I trattamenti: programmi comportamentali e interventi con i genitori
Nella scelta dei trattamenti va sempre considerata la fase dello sviluppo e la diversità di ogni bambino. «I trattamenti più efficaci sono i programmi psicologici e comportamentali strutturati mirati a modificare i comportamenti del bambino per favorire un miglior adattamento alla vita quotidiana», spiega la neuropsichiatra. «Sono fondamentali anche gli interventi mediati dai genitori che, guidati dai professionisti, imparano ad applicare nella quotidianità le modalità di comunicazione più adatte per favorire lo sviluppo e le capacità comunicative del figlio. Possiamo definire appropriato un intervento quando è precoce (entro i 2-3 anni) e intensivo: è opportuno offrire al bambino numerose e continue occasioni di apprendimento distribuite nei diversi contesti della sua vita, come il centro terapeutico e riabilitativo, la famiglia e la scuola. Un buon trattamento deve prevedere e un lavoro costante e continuativo con la famiglia e con il contesto nel quale il bambino vive e l’esperienza clinica dimostra che in molti casi i comportamenti definiti problema si riducono via via che migliorano le abilità di comunicazione e di interazione con l’altro».

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo