«La prima tutela è quella che si realizza nel luogo di lavoro, se vengono rispettate le norme contemplate dalle leggi e dai contratti collettivi», spiega Piero Martello, presidente del Tribunale del lavoro di Milano. «Solo quando questo non avviene sorge una disparità di vedute o un conflitto tra lavoratore e datore di lavoro che innesta la soluzione del ricorso al giudice».
Qual è il problema principale del contenzioso giudiziario?
«I problemi riguardano vari casi. Per esempio quando il lavoratore ritiene di non essere retribuito adeguatamente. Un altro campo problematico è quello dei rapporti di lavoro in nero. Connessi a questa tipologia vi sono casi – soprattutto nel campo della logistica e dei servizi – in cui anche se formalmente esistono dei contratti, questi vengono applicati in un contesto tale che di fatto portano a una sostanziale precarietà dei rapporti di lavoro, se non addirittura di illiceità».
Quando può avvenire tutto questo?
«Quando una ditta affida con un appalto una serie di attività a un’altra società senza avvalersi dei propri dipendenti. La società appaltatrice reperisce la manodopera e svolge il servizio, ma questa pratica dà luogo a situazioni critiche o fraudolente. Spesso capita che le imprese appaltatrici non siano imprese genuine. A volte scadono come lo yogurt: durano un anno e poi chiudono, trasferiscono i propri dipendenti a un’altra impresa simile e durante il loro breve periodo di vita non pagano tasse e contributi, spesso nemmeno le retribuzioni dei lavoratori, con triplo danno: per i lavoratori, per il fisco, per la previdenza. Ma esiste anche un quarto danno».
E quale?
«Le imprese scorrette realizzano un “risparmio” di costi che consente loro di proporre prezzi bassi. Mentre le società oneste, pagando tasse, stipendi e contributi, non possono offrire prezzi altrettanto bassi. C’è un vantaggio competitivo indebito. Si danneggiano il mercato, la libera concorrenza e le imprese per bene».
Come è possibile rimediare a questa situazione?
«Una recente riforma prevede la cosiddetta solidarietà. Significa che l’impresa committente deve rispondere dei debiti di lavoro delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Quindi il committente ha tutto l’interesse che anche l’impresa appaltatrice si comporti secondo la legge».
Esistono altri punti critici?
«Bisognerà dedicare attenzione al fenomeno nuovo e crescente del cosiddetto “lavoro digitale” o su piattaforme, dove si possono verificare situazioni di precariato davvero preoccupanti. I giudici se ne sono occupati in qualche caso, applicando e interpretando le norme vigenti. Occorre che se ne occupi specicatamente il legislatore»
Il Jobs Act ha favorito una maggiore giustizia nel campo del diritto del lavoro?
«Spesso la norma, se crea vantaggi per un soggetto, verosimilmente creerà svantaggi per l’altra parte del rapporto. Bisogna sempre riconoscere il primato della sfera della politica e dei decisori istituzionali: Parlamento e Governo della Repubblica. A loro spetta di focalizzare gli obiettivi e i valori da conseguire, di fissare le priorità, di individuare le tutele da fornire a presidio di tali diritti, di stabilire la portata delle tutele. Poi spetta al giudice di applicare la legge, ovviamente esercitando il suo potere/dovere di interpretare la norma, alla luce della Costituzione, dei principi generali dell’ordinamento, della normativa nazionale e comunitaria. L’interpretazione non è solo un potere ma è anche un dovere e, ovviamente, tra tutti gli interpreti quello che ha maggiori responsabilità è il giudice, perché la sua interpretazione si traduce in una decisione vincolante per le parti. L’ultima riforma legislativa ha dato maggior potere contrattuale al datore di lavoro. Ciò peraltro è stato giustificato dal legislatore con l’obiettivo di favorire un aumento dell’occupazione. In materia di contratti a termine le recenti leggi hanno ridotto i vincoli a carico del datore di lavoro, e quindi parallelamente ridotto la possibilità di contestazione da parte del lavoratore».
Una giustizia lenta è una giustizia negata scriveva Montesquieu. Il Tribunale del lavoro di Milano ha il record della durata breve dei procedimenti, in Italia, mediamente meno di quattro mesi. Si può fare ancora meglio?
«Cerchiamo di fare sempre meglio. Una criticità che io segnalo è il costo delle cause. Mentre in passato il processo del lavoro era pressoché gratuito (proprio per facilitare l’accesso alla giustizia), di recente le leggi hanno determinato un costo (seppur non elevatissimo) per iniziare una causa, ma soprattutto hanno regolato in maniera più stringente la condanna alle spese per la parte soccombente. Dunque, prima di far causa, la parte deve considerare il rischio di pagare le spese alla controparte. Questo è un nodo che riguarda la facilità dell’accesso alla giustizia, che è sempre un problema per la parte economicamente più debole».