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mercoledì 25 giugno 2025
 
dossier
 

Brusca, Alfonso Sabella: "Come uomo non avrei mai stretto quella mano, come magistrato ho dovuto farlo"

06/06/2025  La testimonianza del magistrato che ha gestito la collaborazione: «Alle cinque del pomeriggio del 23 maggio 1996, mi squilla il telefono: "Comandi dottore, il bambino ha bisogno d’affetto, comandi". In quel momento capisco che Brusca vuole collaborare con la giustizia. Senza la legge sui collaboratori non sapremmo chi è»

Il racconto di Alfonso Sabella, oggi giudice alla quarta sezione penale di Roma, è fluviale quasi quanto l’udienza "monstre" (copyright suo) da cui è appena uscito. Molti conoscono Sabella come il "cacciatore di mafiosi", per via del Cacciatore, la serie Tv ispirata alla sua storia. «Quando arrestiamo Giovanni Brusca, il 20 maggio 1996, - racconta -capiamo subito che potrebbe avere qualche cedimento, lo mettiamo immediatamente sotto tutela di una squadra speciale della Polizia penitenziaria, in una sezione dell’Ucciardone dove c’è solo lui. Alle cinque del pomeriggio del 23 maggio 1996, mi squilla il telefono cripto che ho sulla scrivania, è il generale che gestisce Brusca: "Comandi dottore, il bambino ha bisogno d’affetto, comandi"».

È un messaggio in codice: «In quel momento capisco che Brusca vuole collaborare con la giustizia». Naturale chiedersi quali pensieri passino: «La prima cosa che penso è: se questo signore vuole collaborare con la giustizia io lo dovrò incontrare, dovrò stringergli la mano. Resto per un tempo, che io ricordo interminabile ma magari è stato di pochi secondi, a riflettere su questo. La prima telefonata che faccio non è a Gian Carlo Caselli che in quel momento a Palermo è il procuratore, ma a Franco Lo Voi, (oggi capo della Procura di Roma ndr.), il collega che aveva fatto con me l’indagine e che era amico di Giovanni Falcone. Gli chiedo: "Che facciamo?". Pausa, evidentemente anche lui pensa le stesse cose. Poi mi risponde: "Che cosa avrebbe fatto Giovanni al nostro posto? Sarebbe andato avanti. Andiamo avanti". A quel punto chiamo Caselli e attiviamo quello che serve per avviare la collaborazione di Brusca e i colloqui».

Non c’è quasi bisogno di domande, il racconto fluisce da sé: «Incontro Brusca per la prima volta il 2 luglio, in un ufficio postale in maniera molto riservata, segretissima, e in quell’occasione io la mano gliela devo stringere. Lo dico ogni volta che vado nelle scuole: l’uomo Sabella mai avrebbe stretto quella mano, ma il magistrato Sabella ha dovuto farlo. La domanda che io mi pongo è: senza la legge sui collaboratori di giustizia voluta da Giovanni Falcone, come avremmo saputo che Brusca aveva premuto il telecomando di Capaci?».

È quello che racconta Fausto Cardella a quell’epoca impegnato nelle indagini sulle stragi a Caltanissetta a raccontare questo punto in un'altra testimonianza di questo dossier: «I magistati di Caltanissetta», continua Sabella, «avrebbero forse ricostruito con probabilità la strage ma senza quella certezza. La cosa che tutti dimenticano è che i collaboratori di giustizia ci hanno permesso di sapere chi fosse Giovanni Brusca, e che in primo grado al Maxiprocesso di Palermo fu assolto, perché a suo carico c’era solo la dichiarazione di Tommaso Buscetta che diceva: "Il figlio mezzano di mezzano di Bernardo Brusca pare un picciotto sveglio". Poi arrivò Francesco Marino Mannoia, su cui si disegnò la legge che ha incastrato anche Brusca, poi condannato in secondo grado».

A lungo si è discusso dell’eticità: «Di etico nella legge sui collaboratori non c’è niente, se vogliamo vedere è un accordo che lo Stato fa con il mafioso per convincerlo a tradire i suoi e fare l’infame. Più uno è criminale più uno è utile: un Brusca che racconta 150 omicidi è molto più utile di tanti piccoli che ne raccontano due di cui sappiamo già tutto. A tanti di questi ho rifiutato la collaborazione: avrebbero ottenuto benefici senza dare nulla di utile. Ragionare di questa legge con un approccio etico, moralistico è sbagliato: in sé è immorale, perché tale deve essere per funzionare. Oggi possiamo dirlo: quella legge ci ha consentito di cancellare dalla storia lo stragismo corleonese, senza sarebbero andati avanti». Ed erano già saltati in aria Rocco Chinnici via Pipitone, Falcone a Capaci, Borsellino a Via D’Amelio, i Georgofili, San Giovanni in Laterano San Giorgio al Velabro, Via Palestro... «Per questo ho raccontato della frase di Lo Voi che si confrontava con l’omicidio di un suo amico. Non avremmo saputo chi è Brusca senza quella norma».

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