Era morto di fatica e sudore
giusto un anno fa. Nei
campi di pomodoro di
Nardò, dove le temperature
sfioravano i 42 gradi,
Abdullah Mohamed aveva
continuato a lavorare
nonostante si fosse già
sentito male. Era arrivato dal Sudan
chiedendo asilo politico e si era ritrovato
arruolato dai caporali come
lavoratore stagionale. Pochi giorni
prima, sempre in Puglia, era morta
Paola Clemente e prima Zakaria
Ben Hassine e prima, prima...
«Ma io non voglio indossare la fascia da sindaco per andare a nuovi funerali», commenta oggi il primo
cittadino di Nardò, Pippi Mellone. Da
poche settimane alla guida del Comune,
in provincia di Lecce, sostenuto
da una lista civica che mette insieme
trasversalmente dalla destra di Casa
Pound alla sinistra di Sel, difende la
sua ordinanza, firmata il 14 luglio,
che vieta il lavoro nei campi dalle
12 alle 16: «È una norma di buon
senso. Ci sono troppi rischi per la salute,
non si può pretendere che si lavori
in quelle condizioni»
Per chi impiega i braccianti in
quelle ore – che siano campi di angurie
o di patate – le multe vanno dai 25
ai 500 euro. Plaude la Caritas, che da tempo segue la sorte delle centinaia
di migranti che transitano da queste
terre, snodo cruciale per i lavoratori
agricoli e uno dei maggiori mercati
nazionali in nero di manodopera stagionale.
Plaudono le altre associazioni
impegnate in questi anni contro lo
sfruttamento.
Ma non tutti sono d’accordo con il
sindaco. La Confederazione italiana
agricoltori si alza polemicamente dal
tavolo di concertazione convocato da
Prefettura e Comune. E qualche avvocato
comincia a impugnare la delibera.
«Per me è una misura di civiltà, e mi
dispiace per quanti continuano a ragionare
con logiche di categorie Noi non abbiamo paura di continuare
a difendere i più deboli e di perseguire
la legalità», continua Mellone.
I più deboli qui sono i 300 migranti
del “ghetto” Arene-Serrazze,
periferia di Nardò: in fila per prendere
l’acqua, i generatori di corrente per
sopperire alla mancanza di energia, a
volte sfruttati dagli stessi vicini di “baracca”.
«La provenienza cambia tutti
gli anni, adesso forse arrivano più dal
Senegal, dal Mali e dal Burkina Faso»,
precisa Gregorio Manieri, un operatore
del Progetto presidio della Caritas,
«anche se le presenze più numerose
sono quelle dal Sud Sudan, dalla Tunisia
e dal Ghana. Ce ne occupiamo dal
1997 e già allora dicevamo che andavano
cercate risposte strutturali. Come
si fa a pensare che sia emergenza un
fenomeno che si ripresenta uguale
tutti gli anni?», commenta mentre gli
altri operatori fanno gli “ascolti”, raccolgono
cioè le storie dei migranti
per capirne necessità e bisogni.
Intanto, in mezzo agli uliveti, tra
materassi e rifiuti, Obama e Berlusconi
si inseguono allegramente. I nomi,
a questi due cagnetti che sono ormai la
loro mascotte, li hanno dati i primi arrivati.
«Il nostro modo di giocare con il
potere, di farci ascoltare», dice qualcuno. ad ascoltarli sul serio. «Il sindaco sta
cercando di metterci il cuore», chiosa
don Giampiero Fantastico, direttore
della Caritas di Nardò-Gallipoli, «e se
si fa aiutare, lo aiuteremo volentieri».
A pochi metri da questa ex falegnameria
sgombrata e abbattuta, ma subito
trasformata, con i materiali di risulta,
in un nuovo fatiscente agglomerato,
il Comune, infatti, sta allestendo un
centro di accoglienza con bagni, docce,
tende e presidio medico.
Quest’anno si sono mosse anche le
organizzazioni di categoria, la Coldiretti
in primis che, grazie alla campagna
condotta con la Focsiv – “Abbiamo
riso per una cosa seria” – ha messo
insieme «le risorse necessarie per portare
nel campo solidale allestito dal
Comune i moduli con i servizi igienici
e le docce. Un impegno di spesa che si
aggira sui 50 mila euro», sottolinea il
presidente di Coldiretti Puglia Gianni
Cantele. In attesa dei moduli abitativi
refrigerati promessi, ma non ancora arrivati, Mellone ha fatto allestire le
tende del Comune e della Protezione
civile dove «si sono già trasferiti in
160», dicono dalla Caritas. Assieme ad
acqua e luce, è garantita anche l’assistenza
sanitaria con la presenza di
due dottori, dal lunedì al venerdì, dalle
17 alle 20.
«L’accoglienza adeguata è
uno dei primi strumenti per diffondere
legalità», continua Cantele.
«Il caporalato si sconfigge dando ai
migranti la consapevolezza dei propri
diritti e combattendo l’illegalità lavorativa
», puntualizza don Giampiero.
«Bisogna parlare di giustizia contributiva
e di giusto salario per tutti. Non
è possibile che i lavoratori siano
pagati, come ci raccontano, 3 euro
all’ora se ci sono i contributi e 6 senza.
Questo vale sia per gli italiani che per
gli stranieri. Vanno spezzate alcune
catene di schiavitù, anche quelle che sembrano piccole, ma che impediscono
al lavoratore di “liberarsi”. I mezzi
di trasporto, per dirne una, che la Regione
ha promesso di potenziare laddove
c’è una maggiore concentrazione
di braccianti per evitare che i migranti
debbano sottostare ai caporali che
fanno da “passeur”».
Qualcosa si sta muovendo anche
grazie al protocollo sperimentale contro
il caporalato, firmato lo scorso
27 maggio dai ministri dell’Interno,
del Lavoro e delle Politiche agricole
e che la Regione Puglia sta cercando di
mettere a regime coinvolgendo gli attori
che già lavorano sul campo. Come
la stessa Caritas che con il Progetto
presidio, al secondo biennio, aiuta a far
fronte a bisogni più immediati, assicurando
l’aiuto legale, psicologico e sanitario,
attivandosi per i documenti di
soggiorno e di lavoro. Facilitando l’integrazione.
Che a volte passa anche da
una bici, come quelle che la Caritas sta
regalando con il progetto A ruota libera
che permette ai migranti di non restare
chiusi nel ghetto, ma di poter interagire
con il cuore di Nardò, città insignita
della medaglia d’oro al merito civile
per l’accoglienza data agli ebrei liberati
dai campi di sterminio. E che ora,
con i nuovi migranti, vuole dar prova di
non aver smarrito quella memoria.