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domenica 13 ottobre 2024
 
Puglia
 

Caporalato, il riscatto di Nardò grazie al gioco di squadra

04/08/2016  La chiamavano la “Rosarno” della Puglia. ha deciso di combattere caporalato e razzismo. partendo dal dare un tetto, la luce, l’acqua e una bici ai lavoratori immigrati. l’impegno congiunto di comune, Coldiretti e Caritas

Era morto di fatica e sudore giusto un anno fa. Nei campi di pomodoro di Nardò, dove le temperature sfioravano i 42 gradi, Abdullah Mohamed aveva continuato a lavorare nonostante si fosse già sentito male. Era arrivato dal Sudan chiedendo asilo politico e si era ritrovato arruolato dai caporali come lavoratore stagionale. Pochi giorni prima, sempre in Puglia, era morta Paola Clemente e prima Zakaria Ben Hassine e prima, prima... «Ma io non voglio indossare la fascia da sindaco per andare a nuovi funerali», commenta oggi il primo cittadino di Nardò, Pippi Mellone. Da poche settimane alla guida del Comune, in provincia di Lecce, sostenuto da una lista civica che mette insieme trasversalmente dalla destra di Casa Pound alla sinistra di Sel, difende la sua ordinanza, firmata il 14 luglio, che vieta il lavoro nei campi dalle 12 alle 16: «È una norma di buon senso. Ci sono troppi rischi per la salute, non si può pretendere che si lavori in quelle condizioni» Per chi impiega i braccianti in quelle ore – che siano campi di angurie o di patate – le multe vanno dai 25 ai 500 euro. Plaude la Caritas, che da tempo segue la sorte delle centinaia di migranti che transitano da queste terre, snodo cruciale per i lavoratori agricoli e uno dei maggiori mercati nazionali in nero di manodopera stagionale. Plaudono le altre associazioni impegnate in questi anni contro lo sfruttamento.

Ma non tutti sono d’accordo con il sindaco. La Confederazione italiana agricoltori si alza polemicamente dal tavolo di concertazione convocato da Prefettura e Comune. E qualche avvocato comincia a impugnare la delibera. «Per me è una misura di civiltà, e mi dispiace per quanti continuano a ragionare con logiche di categorie Noi non abbiamo paura di continuare a difendere i più deboli e di perseguire la legalità», continua Mellone. I più deboli qui sono i 300 migranti del “ghetto” Arene-Serrazze, periferia di Nardò: in fila per prendere l’acqua, i generatori di corrente per sopperire alla mancanza di energia, a volte sfruttati dagli stessi vicini di “baracca”. «La provenienza cambia tutti gli anni, adesso forse arrivano più dal Senegal, dal Mali e dal Burkina Faso», precisa Gregorio Manieri, un operatore del Progetto presidio della Caritas, «anche se le presenze più numerose sono quelle dal Sud Sudan, dalla Tunisia e dal Ghana. Ce ne occupiamo dal 1997 e già allora dicevamo che andavano cercate risposte strutturali. Come si fa a pensare che sia emergenza un fenomeno che si ripresenta uguale tutti gli anni?», commenta mentre gli altri operatori fanno gli “ascolti”, raccolgono cioè le storie dei migranti per capirne necessità e bisogni.

Intanto, in mezzo agli uliveti, tra materassi e rifiuti, Obama e Berlusconi si inseguono allegramente. I nomi, a questi due cagnetti che sono ormai la loro mascotte, li hanno dati i primi arrivati. «Il nostro modo di giocare con il potere, di farci ascoltare», dice qualcuno. ad ascoltarli sul serio. «Il sindaco sta cercando di metterci il cuore», chiosa don Giampiero Fantastico, direttore della Caritas di Nardò-Gallipoli, «e se si fa aiutare, lo aiuteremo volentieri». A pochi metri da questa ex falegnameria sgombrata e abbattuta, ma subito trasformata, con i materiali di risulta, in un nuovo fatiscente agglomerato, il Comune, infatti, sta allestendo un centro di accoglienza con bagni, docce, tende e presidio medico.

Quest’anno si sono mosse anche le organizzazioni di categoria, la Coldiretti in primis che, grazie alla campagna condotta con la Focsiv – “Abbiamo riso per una cosa seria” – ha messo insieme «le risorse necessarie per portare nel campo solidale allestito dal Comune i moduli con i servizi igienici e le docce. Un impegno di spesa che si aggira sui 50 mila euro», sottolinea il presidente di Coldiretti Puglia Gianni Cantele. In attesa dei moduli abitativi refrigerati promessi, ma non ancora arrivati, Mellone ha fatto allestire le tende del Comune e della Protezione civile dove «si sono già trasferiti in 160», dicono dalla Caritas. Assieme ad acqua e luce, è garantita anche l’assistenza sanitaria con la presenza di due dottori, dal lunedì al venerdì, dalle 17 alle 20.

«L’accoglienza adeguata è uno dei primi strumenti per diffondere legalità», continua Cantele. «Il caporalato si sconfigge dando ai migranti la consapevolezza dei propri diritti e combattendo l’illegalità lavorativa », puntualizza don Giampiero. «Bisogna parlare di giustizia contributiva e di giusto salario per tutti. Non è possibile che i lavoratori siano pagati, come ci raccontano, 3 euro all’ora se ci sono i contributi e 6 senza. Questo vale sia per gli italiani che per gli stranieri. Vanno spezzate alcune catene di schiavitù, anche quelle che sembrano piccole, ma che impediscono al lavoratore di “liberarsi”. I mezzi di trasporto, per dirne una, che la Regione ha promesso di potenziare laddove c’è una maggiore concentrazione di braccianti per evitare che i migranti debbano sottostare ai caporali che fanno da “passeur”».

Qualcosa si sta muovendo anche grazie al protocollo sperimentale contro il caporalato, firmato lo scorso 27 maggio dai ministri dell’Interno, del Lavoro e delle Politiche agricole e che la Regione Puglia sta cercando di mettere a regime coinvolgendo gli attori che già lavorano sul campo. Come la stessa Caritas che con il Progetto presidio, al secondo biennio, aiuta a far fronte a bisogni più immediati, assicurando l’aiuto legale, psicologico e sanitario, attivandosi per i documenti di soggiorno e di lavoro. Facilitando l’integrazione. Che a volte passa anche da una bici, come quelle che la Caritas sta regalando con il progetto A ruota libera che permette ai migranti di non restare chiusi nel ghetto, ma di poter interagire con il cuore di Nardò, città insignita della medaglia d’oro al merito civile per l’accoglienza data agli ebrei liberati dai campi di sterminio. E che ora, con i nuovi migranti, vuole dar prova di non aver smarrito quella memoria.

 
 
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