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giovedì 12 settembre 2024
 
Telefono Rosa
 

Carnieri Moscatelli, Telefono rosa: «Nel delitto di Samarate una cultura di potenza che non accetta la libertà della donna»

05/05/2022  È una lista troppo lunga quelle delle 29 donne uccise quest’anno. L’ultima a Samarate Varese per mano del marito, morta insieme alla figlia. «Bisogna lavorare sulla formazione di ragazze e ragazzi, su parità e rispetto» il commento della presidente di "Telefono Rosa"

Avrebbe ucciso a martellate la moglie e la figlia sedicenne, ferito il figlio e ha cercato di darsi fuoco. Ora  Alessandro Maja, 57 anni, di Samarate (Varese) è piantonato in ospedale autore presunto di una ferocia inaudita verso la sua famiglia. Sono 29 con Stefania e Giulia le vittime. Una mattanza che non si ferma e di cui parliamo con Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente del Telefono Rosa.

Presidente si può arrivare a uccidere nel sonno a martellate?

«È un atto di una ferocia inaudita. Inammissibile e per altro stupefacente perché usato da una persona acculturata ("fulcro e fondatore" di uno studio che aiuta nella progettazione di spazi commerciali per il settore Food and Beverage con sede in via Sforza, lungo il naviglio Pavese, ndr) non da un uomo che per mestiere usa il martello. Ieri a Sabaudia, un’altra donna uccisa con 12 coltellate dall’ex compagno. Non si vede la fine di una lista che è troppo lunga».

E come spesso accade perché la donna si voleva separare.

«È una questione culturale; questi uomini non accettano la richiesta di libertà da parte di una donna e allora fanno di tutto per annientarla. È una reazione di punizione. E prima ancora di possesso: “se non sei mia non devi essere di nessuno”. Dimostrano così la loro potenza».

Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, Presidente del Telefono Rosa
Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, Presidente del Telefono Rosa

Perché prendersela con i figli?

«Perché così ti tolgo quello che hai di più caro, ovvero i figli che in quel momento sono più tuoi che suoi».

Altro ostacolo fastidioso è l’emancipazione lavorativa della donna…

«L’uomo non accetta neanche la superiorità della donna, che abbia intrapreso una carriera o raggiunto degli obiettivi».

Come si fa a invertire il trend?

«Lavorando sulla formazione di ragazzi e ragazze, su parità e rispetto, per un’indipendenza che si raggiunge anche attraverso il lavoro. L’uomo non accetta la donna che lavora e che riesce a ottenere dei risultati dal lavoro e magari addirittura a essere superiore. Basta pensare che è dello scorso anno la legge sulla parità salariale, questo dice quanto siamo retrogradi nel valutare il lavoro della donna. Se tutto questo non viene affrontato con determinazione dalle istituzioni è difficile che riusciremo a uscire da questa situazione difficilissima».

Negli ultimi post pubblicati dalla donna c’erano degli indizi rispetto a quel che viveva ma non si arriva mai in tempo. Perché?

«Spesso perché si sottovaluta la gravità della situazione. Il “codice rosso” ha dato degli strumenti affinché la  donna sia immediatamente aiutata, ma va affinato. Tra la denuncia e l’esecuzione la donna viene lasciata sola. Molto spesso non si rispettano i tre giorni tra la denuncia e l’audizione della donna. Lui lo sa e in quel lasso di tempo interviene. A modo suo. Noi poi sottovalutiamo le liti in famiglia: c’è un atteggiamento delle persone intorno alla donna che spesso consigliano di stare tranquilla e fare pace.  Mentre quel campanello va interpretato diversamente».

Il Covid ha aumentato le tensioni tra le mura di casa?

«Ha scatenato problematiche psicologiche terribili, ma anche economiche aggravate ora dalla guerra. Redditi che si assottigliano facendo talvolta degenerare la convivenza».

C’è poi un tema di corresponsabilità. Se si sente litigare non basta tapparsi le orecchie.

«Bisogna intervenire. Se senti litigare lo devi e lo puoi fare anche in forma anonima. Girare la testa dall’altra parte contribuisce ad aumentare la violenza».  

 
 
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