Faccio parte della minoranza di coloro che considera Il sol dell’Avvenire un “non film”. Se lo avessi visto al cineforum, probabilmente mi sarei comportato come Fantozzi con la corazzata Potemkin, (anche se non avesse segnato anche Zoff, di testa, su calcio d'angolo). E in effetti non si capisce bene cosa sia l’ultima, perdibile, opera del regista eletto a coscienza critica della sinistra. Il mio giudizio nasce proprio in quanto avevo apprezzato tante sue pellicole, da Ecce Bombo a Bianca, da Palombella Rossa al Caimano, dalla Stanza del figlio ad Habemus Papam. Così intensi, così preveggenti, così capaci di carpire lo spirito del tempo. Ma questo? Questo proprio no. Che cos’ha di un film il “Sol dell’Avvenire”? È semplicemente un insulso “patchwork” (ma io preferisco chiamarlo minestrone) autocelebrativo di riferimenti per cinefili amatoriali, condito dalle solite idiosincrasie, ossessioni, gusti e disgusti morettiani, da battute che non fanno ridere (come quella sui sabot), dai consueti camei per piacere al suo pubblico della "sinistra riflessiva", persino la solita ironia sullo psicanalista. Insomma, la sagra dei luoghi comuni morettiani. Con quella voce legnosa e inespressiva del protagonista, che sarà anche una genialata ma a me pare un ulteriore e irritante contributo alla noia di questa commedia piattamente televisiva, insulsa e priva di qualunque spinta narrativa, con linee temporali che si accavallano e una sceneggiatura sfilacciata e altalenante, scomposta, come una Sacher fatta cadere sul pavimento, raccattata e rimessa nel piatto.
Potrei continuare a lungo su questo lavoro luogocomunista mancato, pseudo-felliniano (ma Fellini è quanto di più lontano ci possa essere da Moretti, come l'ananas sulla pizza, e si vede). Salvo solo l'ironia su Netflix, la condanna della violenza nei film e la colonna sonora, ma ci vuol poco, è semplicemente una playlist di belle canzoni (con lo scontato omaggio a Battiato). Non mi è mi è piaciuta nemmeno la danza dei dervisci (anzi, mi pare l’emblema di un'opera che gira a vuoto). È pure un film-non film incredibilmente pretenzioso perché il regista fa sfilare tutti gli attori dei suoi precedenti lavori, in una sorta di parata del due giugno autocelebrativa, addirittura ai Fori Imperiali. Ai Fori Imperiali, capite? Manco fosse Cesare al ritorno dalle Gallie e dalla Campagna d'Egitto. L'insuccesso di "Tre piani" deve avergli dato alla testa. Poi, vabbé, nell'insulsaggine uno ci può leggere quello che vuole, anche un capolavoro. Mi consolo riguardandomi Aprile, quello sì, una vera commedia delicata, ironica e profonda. “D’Alema, dì qualcosa di sinistra”. E tu Nanni, fai qualcosa di cinematografico, la prossima volta.