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martedì 20 maggio 2025
 
 

C’era una volta la villa della ‘ndrangheta…

30/08/2013  Per una settimana, 36 giovani di Libera partecipano al campo di lavoro, facendo manutenzione a uno dei beni confiscati a Verona. Ma si preparano, anche: a tema i beni comuni, la povertà, l’immigrazione. Al Nord come al Sud, la mafia si combatte anche facendo i volontari.

C’era una volta una villa, con parco, maneggio, ristorante, piscina. Sorgeva a Erbè, in provincia di Verona, ed era di proprietà di uno spacciatore di droga affiliato all’ndrangheta, Roberto Patuzzo.

Oggi questo edificio, uno dei venticinque confiscati alle organizzazioni criminali nel territorio veronese e poi riconvertiti grazie alla legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni di provenienza illecita, ospita un Centro diurno per disabili dell’Ulss e la base regionale scout Airone.

È qui che questa estate, per il secondo anno consecutivo, si sono svolti i campi estivi di lavoro e formazione Estate liberi, promossi da Libera, associazione contro le mafie, in collaborazione con Scout e Spi Cgil.

In particolare, è attualmente in corso il terzo campo del 2013, che terminerà sabato 31 agosto e che coinvolge 36 ragazzi provenienti da tutta Italia. Quattro le parole d’ordine che animano l’esperienza: confronto, dialogo, condivisione, spontaneità.

Varie le attività proposte nel corso della settimana, dalla ristrutturazione e manutenzione dell’edificio agli incontri formativi con esperti. Riflettori accesi sui temi dei beni comuni, della povertà, dell’immigrazione. E dell’acqua, risorsa preziosa a cui l’economista Riccardo Petrella ha dedicato lunedì 26 il suo intervento, ospite del monastero di Sezano.

Attenzione anche agli stili di vita e alla sostenibilità ambientale, a cominciare dai pasti, tutti a base di prodotti stagionali e a chilometri zero. «L'obiettivo è quello di diffondere una cultura che possa efficacemente contrapporsi alla violenza, al privilegio, al ricatto», sostiene Maria Giuseppina Scala, del coordinamento provinciale di Libera Verona, «i campi costituiscono il segno tangibile del cambiamento necessario per contrastare la mafiosità».

«Occorre rafforzare lo spirito critico in tema di mafie, infiltrazioni e zona grigia», spiega Benedetta Martini, giovane volontaria del coordinamento provinciale di Libera, mentre Francesca Turra, responsabile provinciale dei campi, sottolinea l’importanza dello «spirito di collaborazione e del fare rete con altre associazioni, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica». Un principio, quest’ultimo, scritto nel Dna di Libera, l’«associazione di associazioni», fondata nel 1995 da don Luigi Ciotti.

«I campi dimostrano che, anche nei luoghi in cui la criminalità ha fatto da padrona, è possibile ricostruire una realtà fondata su legalità, giustizia sociale, rispetto della persona», spiega Turra. Tanto più che l’esperienza non si esaurisce dopo sette giorni. Continuerà, come racconta Anna, 21 anni, una delle ragazze impegnate a Erbè: «Al termine del campo, porterò con me il principio della responsabilità come consapevolezza delle nostre azioni. A casa, a scuola, nel lavoro».

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